venerdì 18 dicembre 2009

La dimensione creativa del lobbying italiano

Lobbying into law making or policy making Dato che spesso, con una tendenza semplificante, si indica come punto focale dell’azione di rappresentanza di interessi l’attività legislativa e come sede di espressione le anticamere parlamentari di vario livello, occorre mettere in rilievo il fatto che l’asse della decisionalità pubblica si va sempre di più spostando sugli esecutivi, sui livelli direttivi dei corpi burocratici, nonché sul management degli enti strumentali delle differenti istituzioni, non ultime quelle di livello sub-statale. Non è raro poi che si superi il livello istituzionale ed è pure possibile che la sede non sia esattamente politica. Nel nostro paese spesso c’è la tendenza a sovrapporre leggi e politiche pubbliche, ma va precisato che, salvo eccezioni, law making e policy making non coincidono né concettualmente né praticamente. Dagli analisti più consapevoli è stato messo in rilievo che una politica pubblica non è un fenomeno oggettivo, astratto, come una legge, ma un insieme di elementi dinamici difficilmente ordinabili, tra loro eterogenei, che a volte possono lasciare spazi di intervento e negoziazione, mentre in altre si presentano chiusi e predeterminati. Quello che è certo è che questa attività, a chiunque si imputi e qualunque sia il momento in cui essa venga a focalizzarsi, inevitabilmente comporta l'uso e l’interazione di un ventaglio di risorse e tecnologie (es. comunicazione e media) più ampio di quelle messe in funzione nell’esercizio della potestà legislativa, avendo come obiettivo primario quello della concreta incidenza sul quadro generale o particolare degli interessi, più che l’espressione di una volontà in senso formale e solo astrattamente prescrittiva. Esigenze, istanze, idee, indagini, fatti, soggetti (policy networks), atti ed eventi, meglio sarebbe dire “poteri”, vanno in sequenza, raramente razionale, tutti a comporre il quadro del divenire di una politica pubblica. Al centro sta un problema di ordine sociale o economico o, possibilmente, un interesse specifico che viene ad assumere in un determinato contesto rilevanza politica (non necessariamente generale) la cui soluzione o soddisfazione viene progettata e realizzata con strumenti sempre più spesso non limitati e non coincidenti con quelli rintracciabili in un iter legislativo. Le metodologie vengono spostate invece su momenti negoziali, se si adottano modelli basati sulla relazione; oppure su soluzioni unilaterali, se si segue la via autoritativa o, come potrebbe accadere, autoritaria. Si sottolinea anzi che il decisore pubblico, volendo dimostrarsi “forte ed attrezzato”, competente ed autonomo tenderà a voler produrre effetti e risultati trascurando quanto più possibile il canale dei pesanti procedimenti legislativi (il nuovo processo di elaborazione e di approvazione della finanziaria né è la prova di maggior evidenza), ma più semplicemente attraverso un migliore impiego delle diverse risorse materiali e relazionali disponibili, anche di carattere extraistituzionale. Se così stanno le cose allora il problema centrale per chi rappresenta un gruppo di interessi in questo contesto sta nel definire l’equilibrio della dinamica con cui i diversi soggetti con il loro peso, le loro differenti pulsioni e prerogative possano (eventualmente) intervenire ed avere presenza e concorso in questo processo. Cestinato ed escluso ogni metodo illegale, non etico, o che anche lontanamente si avvicini a quello delle cosiddette “3B” (broads, booze, bribes), per quanto ci riguarda, non è dunque trascurabile stabilire quale sia il modo e quali siano i mezzi con i quali un organismo portatore di interessi, tanto diffusi quanto particolari, possa inserirsi nella sequenza decisionale e quale possa essere la potenzialità e la sua "rilevanza causale". Risorse organizzative, garanzie soggettive ed accreditamenti, standard qualitativi, aspetti pubblicitari, capacità investigative e di monitoraggio, possono così assumere notevole incidenza soprattutto per ragioni di difesa: innanzitutto per scongiurare l’eventualità, sempre possibile, di essere travolti dall’irrazionalità del sistema e delle logiche piuttosto illogiche che in esso si manifestano. In realtà oggi, a prescindere dai quadri di regolamentazione e dalla singolarità - sotto ogni profilo - dei centri decisionali, l’organizzazione portatrice di interessi può tentare qualche sortita e quindi di intervenire in senso propositivo nel ciclo di sviluppo di una politica pubblica o, cosa più complessa ed onerosa, nel quadro complessivo delle politiche di un organismo di livello costituzionale. Si tratta di vedere come. Qui per affrontare il quadro attuale - in futuro si vedrà - cessa l’aspetto razionale dell’azione di lobbying ed emerge la dimensione creativa ed artigianale dell’operatore. Restano a diposizione i più tipici strumenti emersi e perfezionati nelle prassi nord americane ed anglo-sassoni e sempre meglio focalizzati nella pubblicistica del settore, ma il mix d’impiego e gli adattamenti sarà meglio siano consoni al sistema ed allo stile italiano. Dopo aver esaminato lo stato dell’atmosfera istituzionale e pubblica, sono senz’altro possibili azioni di lobbying indiretto (es. grass – root; cyberlobbyng ) per favorire l’inserimento di una certa tematica nell’agenda politico-istituzionale o, quantomeno, per far presente al decisore il peso di una issue o, ancora, l’utilità di una partecipazione del gruppo allo sviluppo istituzionale e pubblico della tematica; ma sarà necessario valutare, oltre al più che solido e diffuso fronte dei “legami” clientelari, quale possa essere la massa critica (heads counting) da sviluppare ed i relativi costi. Si potrà manifestare l’intenzione di erogare o negare al decision-maker il consenso o il sostegno del gruppo rappresentato, ma sempre che questo sia considerato dal decisore di qualche rilievo non tanto e soltanto dal punto di vista sociale e politico. Si potranno fornire expertise preliminari più o meno riservate, contribuendo in modo determinante alla specificazione e configurazione della soluzione di un dato problema, facendo attenzione tuttavia a non cedere inutilmente e “gratuitamente” importanti risorse di know how. Si potranno presentare analisi quantitative e qualitative, preventive e successive, e manifestare proiezioni per quanto concerne gli effetti ed il possibile impatto degli atti posti in essere dall’organo pubblico, sempre che questo non arrivi a mettere in discussione la supposta validità di assetti, dinamiche e scelte di fondo delle leaderships. Si potrà tentare di richiedere la partecipazione agli aspetti protocollari o formali presentando richiesta di audizione, accertando tuttavia che la cosa non sia considerata come un tentativo di formalizzazione conflittuale del rapporto. Infine si potrà avanzare la proposta di inserimento nell’implementazione di quella politica, attraverso la domanda di affidamento di attività esecutive, la cogestione, ed altre soluzioni; ma sempre dopo aver ben valutato se il decisore abbia ritenuto l’interlocutore privato richiedente come un alleato di livello strategico sul quale non trasferire rischi ed oneri derivanti dalle scelte compiute o dalle attività poste in essere. In conclusione si può dire che il lobbying nel contesto italiano attuale – inutile descriverlo - va ben interpretato. Da un lato non rinunciando a porre in essere atteggiamenti ed azioni contraddistinte dal più alto contenuto etico e tecnico possibile, quantomeno per garantire gli standard professionali e la intrinseca legalità dell’azione; dall’altro, considerati i precari assetti istituzionali ed i complessi rapporti di sistema, utilizzando quel pragmatismo che si rende necessario in una situazione instabile, spesso di emergenza ed in fase di costante revisione.


Maurizio Benassuti R. 20 dicembre 2009



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