venerdì 23 ottobre 2009

“zona grigia” (lobby e appalti)

Resa dei conti rimandata, molte parole, pochi fatti e nessuna soluzione concreta alla cosiddetta questione morale. Al centro del ciclone giudiziario (e politico), la direzione del Partito democratico avrebbe dovuto avanzare proposte concrete per fare luce sulla “zona grigia” (lobby e appalti) sulla quale la magistratura conduce le sue indagini e il Parlamento da vent’anni non interviene con una legge. Ma niente è uscito dalle labbra di Walter Veltroni. Forse perché l’ombra di Alfredo Romeo incombe sui suoi sette anni al Campidoglio?

Oh Romeo, Romeo, ma perché sei Romeo?C’è poco di scespiriano nelle intercettazioni tra i politici e l’imprenditore che gestiva gli appalti per la manutenzione stradale a Napoli e a Roma. Dal telefono galeotto emerge uno scenario tutto prosa e niente poesia, ma dai contorni poco chiari. Un imprenditore chiama i politici (Renzo Lusetti e Italo Bocchino) e avanza richieste sugli appalti a Roma e Napoli. Per ora siamo fermi a questo, non c’è traccia di denaro. Domanda: è reato? Se il lobbismo in Italia è senza regole e confini, è chiaro che tutto è affidato a una elastica interpretazione del Codice penale.Claudio Velardi è forse il miglior testimone di questa situazione: è proprietario della Reti, società di relazioni pubbliche che fa anche lobbying, tra i suoi clienti c’è l’imprenditore Romeo ed è assessore al Turismo al Comune di Napoli. Un uomo, tre ruoli. “Da quando sono assessore non c’è alcun intervento della Reti su Napoli” dice Velardi a Panorama. “Nella vicenda napoletana vedo proprio chiara l’assenza di un’azione di lobbying regolata, trasparente”. Secondo Velardi il lobbying è una garanzia: “Quando si svolgono queste attività, come le svolge la Reti, le cose vanno diversamente. Si cerca di proporre e immaginare le soluzioni più adeguate alle amministrazioni pubbliche che, ovviamente, sono libere di scegliere.Quando tutto avviene in maniera trasparente e professionale, non c’è possibilità di entrare in questa zona grigia. Da tempo c’è un’azione in corso per legiferare e la stessa Reti ha presentato diverse proposte”.Mentre al Parlamento europeo l’attività delle lobby è regolata e le aziende italiane sono presenti, in Italia tutto è affidato al caso e alla praticaccia quotidiana. Trasparenti a Bruxelles, opachi a Roma. Per Velardi è un buco legislativo: “Il Parlamento finora non è intervenuto perché (diciamocela tutta) c’è chi pensa sia più conveniente lasciare il vuoto: l’esistenza della zona grigia consente di fare azioni eticamente, e in qualche caso penalmente, molto discutibili”.I lobbisti in Italia sono riuniti in un’associazione che si chiama Il Chiostro: per uno dei fondatori, Alberto Cattaneo, della Cattaneo Zanetto & C, una delle più importanti aziende del settore, il nero napoletano è la prova che occorre un intervento. “Una legislazione sul lobbismo in Italia, diminuirebbe l’estensione della zona grigia dei rapporti tra il mondo dell’impresa e la politica” spiega Cattaneo. Modelli replicabili? “Sia la legislazione americana sia quella usata a Bruxelles sono replicabili in Italia. Servono registri pubblici e pubblicità degli incontri tra lobbisti e politici, per il politico deve essere impossibile fare lobbying mentre è in carica e nei due, tre anni successivi alla cessazione del suo mandato”.
Camere con lobbyDovrebbero essere i partiti (e il Pd in testa in questo drammatico momento) e le istituzioni a cogliere la palla al balzo. Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, pensa sia ora di rompere gli indugi: “Bisogna regolamentare l’attività di lobby, in accordo con le società di categoria, Confindustria, Confcommercio e altri che, di fatto, svolgono un’azione di difesa dei propri interessi. Rendiamo trasparente tutto questo, altrimenti anche una lecita conversazione diventa un argomento da intercettazione”.Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, fa un’analisi politica e la proietta sugli enti locali: “In Parlamento l’attività di lobby è palese perché c’è una collettività politica che controlla. Ogni frase che viene approvata su un disegno di legge o un decreto è vista da tanti occhi. L’operazione deve essere per forza trasparente. Le cose sono più complicate per gli enti locali. Il potere è concentrato in un triangolo di ferro: sindaci, assessori nominati dai sindaci, burocrazia. Poi ci sono le imprese che vanno a caccia. Tutto questo però avviene nella totale debolezza dei partiti”.La lettura che dà Cicchitto vede nell’Italia dei Valori il beneficiario finale “proprio perché si è sbriciolato il meccanismo difensivo e offensivo della cordata che copriva a sinistra”. Ora che il partito è veltronianamente “liquido” ecco all’orizzonte Tonino da Montenero di Bisaccia. Per Cicchitto “bisogna sottrarre alla politica questa sfera, perché si è visto che non è bastata Tangentopoli e la magistratura altrimenti colpisce sistemi di potere di per sé ambigui, anche quando il reato non c’è”.
Lavori in corsoIl presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, è concreto come deve essere un costruttore: “La vicenda di Napoli è istruttiva: l’appalto di manutenzione stradale a Romeo non funzionava fin dall’inizio, perché si è tolto il lavoro alle imprese che fanno manutenzione per trasferirlo a una società di servizi che in seconda battuta mette in campo le imprese. Un doppio esproprio: all’amministrazione locale sul controllo e alle imprese di costruzione che intervenivano dopo. Basta vedere anche la situazione romana per rendersene conto”.Buzzetti non pensa che levare alla politica la decisione sugli appalti sia per forza la soluzione del problema: “Negli appalti ordinari c’è un metodo di gara che comunque l’Ance considera sufficiente, la riforma è partita dopo Tangentopoli e poi si è perfezionata. Gli assessori in questo caso hanno una funzione automatica. Non si inventano un percorso. Non esproprierei gli assessori di questo ruolo, faccio fatica a vedere una rivoluzione. Alcune funzioni non possono essere che svolte dalle istituzioni”.Il controcanto è di Velardi, stavolta nei panni dell’assessore: “Non sono convinto che il sistema delle gare e degli appalti sia il più efficace. L’attuale sistema favorisce i ribassi e non aiuta la qualità”. Levare la competenza agli assessori? “Quando un politico è in grado di prendere tranquillamente le decisioni, non vedo ostacoli. Molto spesso questa bardatura di norme serve a coprire chi ha la coscienza sporca”.
Serve una cura, altrimenti sarà… lobby continua.

Mario Sechi
Panorama 2008

mario.sechi

(fonte:Panorama.it - http://blog.panorama.it/italia/2008/12/24/affari-e-politica-in-italia-e-una-lobby-continua/)

martedì 20 ottobre 2009

Analizzare e disciplinare il lobbying italiano

Meglio usare maggiore inferenza. Si era detto (in un precedente articolo) come in quell’ambiente o, se si preferisce, sotto-sistema che in termini professionali, scientifici, istituzionali si occupa della dinamica della rappresentanza di interessi presso decisori pubblici si sia formato un lessico, una specie di linguaggio d’insieme derivante da una certa acquisita consapevolezza di alcuni stabili contorni di questa attività. Si potrebbe descrivere questo processo anche come il paradigma che tiene insieme soggetti, riflessioni, apporti scientifici, comportamenti, azioni professionali, infine proposte di legge. Ora il problema che si pone, tanto al ricercatore quanto a chi intenda operare professionalmente in questo campo, è comprendere quanto questo paradigma sia adeguato, corrispondente alla realtà dei fatti e, cosa più rilevante, ad una visione realistica ma al contempo dinamica ed evolutiva del fenomeno. In altre parole ci si deve chiedere se quelle che stanno diventando “normali” teorie e descrizioni di prassi riescano a centrare e mettere in chiaro le dinamiche di relazione tra il mondo degli interessi privati ed il decisore pubblico, se siano ben collegate ad una “onesta” ricerca sui fatti e sulle modalità dei rapporti, o non rispondano invece ad esigenze e motivazioni più “formali e personali” della comunità in questione. C’e da decidere: meglio le conformità scientifiche e professionali, quindi l’istituzionalizzazione delle figure e dei ruoli, e le prescrizioni; oppure rilevare “come vanno veramente le cose” con un’impostazione più pragmatica, una visione aperta del fenomeno, ed una interpretazione più “densa” ? La domanda assume tanto più rilievo nel momento in cui si cerca da più parti di definire sostanzialmente e giuridicamente la figura del lobbista italiano e si vogliono porre parametri formativi, di azione e di relazione per questa attività. Si deve quindi dare per scontato ciò che fino ad oggi è maturato in letteratura o si deve cercare di “disorganizzare” questa rete concettuale e guardare il tutto da una diversa angolazione o, meglio, con diverso metodo e maggiore inferenza ? Senza voler allargare il discorso agli aspetti strutturali del sistema italiano (peraltro non poco incidenti) ed alla questione di fondo che nel nostro paese resta come in nessun altro aperta, e che potremmo definire per questi aspetti di democrazia partecipativa e deliberativa, dovremmo iniziare con il mettere in diversa luce, in qualche modo sfatare, alcuni elementi dati per acquisiti. Il fatto è che il lobbying italiano allo stato delle cose è indisciplinato e probabilmente indisciplinabile, almeno nel modo verticale, semplificato e non molto originale che oggi da qualcuno ci viene proposto. Per iniziare, poco sappiamo sulla consistenza quantitativa e qualitativa del fenomeno che resta nei suoi aspetti sostanziali “sotterraneo”. Se si eccettua la continua, ormai stressante, citazione delle pmi, la storia economica italiana lascia pochi dubbi sul fatto che vi siano stati o che vi siano oggi in termini distinti i due essenziali lati del rapporto, quello privato e quello pubblico. E poi, esistono dei problemi oggettivamente focalizzati e delle soluzioni negoziabili, o non assistiamo invece ad una politica “assorbitutto” che metabolizza uomini ed interessi, facendo scomparire al suo interno le diverse issues ? E in questa “politica assoluta” resta qualche spazio per l’affermazione pluralistica dei bisogni, degli interessi e per l’espressione delle politiche che dovrebbero farvi fronte ? In altre parole esiste ed è mai esistito nel nostro Paese quello che può essere definito l’aspetto “orizzontale” della politica nel quale, come unico terreno possibile, la moderna rappresentanza di interessi si dovrebbe collocare ed esprimere ?


Maurizio Benassuti R. 20 ottobre 2009


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