venerdì 18 dicembre 2009

La dimensione creativa del lobbying italiano

Lobbying into law making or policy making Dato che spesso, con una tendenza semplificante, si indica come punto focale dell’azione di rappresentanza di interessi l’attività legislativa e come sede di espressione le anticamere parlamentari di vario livello, occorre mettere in rilievo il fatto che l’asse della decisionalità pubblica si va sempre di più spostando sugli esecutivi, sui livelli direttivi dei corpi burocratici, nonché sul management degli enti strumentali delle differenti istituzioni, non ultime quelle di livello sub-statale. Non è raro poi che si superi il livello istituzionale ed è pure possibile che la sede non sia esattamente politica. Nel nostro paese spesso c’è la tendenza a sovrapporre leggi e politiche pubbliche, ma va precisato che, salvo eccezioni, law making e policy making non coincidono né concettualmente né praticamente. Dagli analisti più consapevoli è stato messo in rilievo che una politica pubblica non è un fenomeno oggettivo, astratto, come una legge, ma un insieme di elementi dinamici difficilmente ordinabili, tra loro eterogenei, che a volte possono lasciare spazi di intervento e negoziazione, mentre in altre si presentano chiusi e predeterminati. Quello che è certo è che questa attività, a chiunque si imputi e qualunque sia il momento in cui essa venga a focalizzarsi, inevitabilmente comporta l'uso e l’interazione di un ventaglio di risorse e tecnologie (es. comunicazione e media) più ampio di quelle messe in funzione nell’esercizio della potestà legislativa, avendo come obiettivo primario quello della concreta incidenza sul quadro generale o particolare degli interessi, più che l’espressione di una volontà in senso formale e solo astrattamente prescrittiva. Esigenze, istanze, idee, indagini, fatti, soggetti (policy networks), atti ed eventi, meglio sarebbe dire “poteri”, vanno in sequenza, raramente razionale, tutti a comporre il quadro del divenire di una politica pubblica. Al centro sta un problema di ordine sociale o economico o, possibilmente, un interesse specifico che viene ad assumere in un determinato contesto rilevanza politica (non necessariamente generale) la cui soluzione o soddisfazione viene progettata e realizzata con strumenti sempre più spesso non limitati e non coincidenti con quelli rintracciabili in un iter legislativo. Le metodologie vengono spostate invece su momenti negoziali, se si adottano modelli basati sulla relazione; oppure su soluzioni unilaterali, se si segue la via autoritativa o, come potrebbe accadere, autoritaria. Si sottolinea anzi che il decisore pubblico, volendo dimostrarsi “forte ed attrezzato”, competente ed autonomo tenderà a voler produrre effetti e risultati trascurando quanto più possibile il canale dei pesanti procedimenti legislativi (il nuovo processo di elaborazione e di approvazione della finanziaria né è la prova di maggior evidenza), ma più semplicemente attraverso un migliore impiego delle diverse risorse materiali e relazionali disponibili, anche di carattere extraistituzionale. Se così stanno le cose allora il problema centrale per chi rappresenta un gruppo di interessi in questo contesto sta nel definire l’equilibrio della dinamica con cui i diversi soggetti con il loro peso, le loro differenti pulsioni e prerogative possano (eventualmente) intervenire ed avere presenza e concorso in questo processo. Cestinato ed escluso ogni metodo illegale, non etico, o che anche lontanamente si avvicini a quello delle cosiddette “3B” (broads, booze, bribes), per quanto ci riguarda, non è dunque trascurabile stabilire quale sia il modo e quali siano i mezzi con i quali un organismo portatore di interessi, tanto diffusi quanto particolari, possa inserirsi nella sequenza decisionale e quale possa essere la potenzialità e la sua "rilevanza causale". Risorse organizzative, garanzie soggettive ed accreditamenti, standard qualitativi, aspetti pubblicitari, capacità investigative e di monitoraggio, possono così assumere notevole incidenza soprattutto per ragioni di difesa: innanzitutto per scongiurare l’eventualità, sempre possibile, di essere travolti dall’irrazionalità del sistema e delle logiche piuttosto illogiche che in esso si manifestano. In realtà oggi, a prescindere dai quadri di regolamentazione e dalla singolarità - sotto ogni profilo - dei centri decisionali, l’organizzazione portatrice di interessi può tentare qualche sortita e quindi di intervenire in senso propositivo nel ciclo di sviluppo di una politica pubblica o, cosa più complessa ed onerosa, nel quadro complessivo delle politiche di un organismo di livello costituzionale. Si tratta di vedere come. Qui per affrontare il quadro attuale - in futuro si vedrà - cessa l’aspetto razionale dell’azione di lobbying ed emerge la dimensione creativa ed artigianale dell’operatore. Restano a diposizione i più tipici strumenti emersi e perfezionati nelle prassi nord americane ed anglo-sassoni e sempre meglio focalizzati nella pubblicistica del settore, ma il mix d’impiego e gli adattamenti sarà meglio siano consoni al sistema ed allo stile italiano. Dopo aver esaminato lo stato dell’atmosfera istituzionale e pubblica, sono senz’altro possibili azioni di lobbying indiretto (es. grass – root; cyberlobbyng ) per favorire l’inserimento di una certa tematica nell’agenda politico-istituzionale o, quantomeno, per far presente al decisore il peso di una issue o, ancora, l’utilità di una partecipazione del gruppo allo sviluppo istituzionale e pubblico della tematica; ma sarà necessario valutare, oltre al più che solido e diffuso fronte dei “legami” clientelari, quale possa essere la massa critica (heads counting) da sviluppare ed i relativi costi. Si potrà manifestare l’intenzione di erogare o negare al decision-maker il consenso o il sostegno del gruppo rappresentato, ma sempre che questo sia considerato dal decisore di qualche rilievo non tanto e soltanto dal punto di vista sociale e politico. Si potranno fornire expertise preliminari più o meno riservate, contribuendo in modo determinante alla specificazione e configurazione della soluzione di un dato problema, facendo attenzione tuttavia a non cedere inutilmente e “gratuitamente” importanti risorse di know how. Si potranno presentare analisi quantitative e qualitative, preventive e successive, e manifestare proiezioni per quanto concerne gli effetti ed il possibile impatto degli atti posti in essere dall’organo pubblico, sempre che questo non arrivi a mettere in discussione la supposta validità di assetti, dinamiche e scelte di fondo delle leaderships. Si potrà tentare di richiedere la partecipazione agli aspetti protocollari o formali presentando richiesta di audizione, accertando tuttavia che la cosa non sia considerata come un tentativo di formalizzazione conflittuale del rapporto. Infine si potrà avanzare la proposta di inserimento nell’implementazione di quella politica, attraverso la domanda di affidamento di attività esecutive, la cogestione, ed altre soluzioni; ma sempre dopo aver ben valutato se il decisore abbia ritenuto l’interlocutore privato richiedente come un alleato di livello strategico sul quale non trasferire rischi ed oneri derivanti dalle scelte compiute o dalle attività poste in essere. In conclusione si può dire che il lobbying nel contesto italiano attuale – inutile descriverlo - va ben interpretato. Da un lato non rinunciando a porre in essere atteggiamenti ed azioni contraddistinte dal più alto contenuto etico e tecnico possibile, quantomeno per garantire gli standard professionali e la intrinseca legalità dell’azione; dall’altro, considerati i precari assetti istituzionali ed i complessi rapporti di sistema, utilizzando quel pragmatismo che si rende necessario in una situazione instabile, spesso di emergenza ed in fase di costante revisione.


Maurizio Benassuti R. 20 dicembre 2009



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venerdì 23 ottobre 2009

“zona grigia” (lobby e appalti)

Resa dei conti rimandata, molte parole, pochi fatti e nessuna soluzione concreta alla cosiddetta questione morale. Al centro del ciclone giudiziario (e politico), la direzione del Partito democratico avrebbe dovuto avanzare proposte concrete per fare luce sulla “zona grigia” (lobby e appalti) sulla quale la magistratura conduce le sue indagini e il Parlamento da vent’anni non interviene con una legge. Ma niente è uscito dalle labbra di Walter Veltroni. Forse perché l’ombra di Alfredo Romeo incombe sui suoi sette anni al Campidoglio?

Oh Romeo, Romeo, ma perché sei Romeo?C’è poco di scespiriano nelle intercettazioni tra i politici e l’imprenditore che gestiva gli appalti per la manutenzione stradale a Napoli e a Roma. Dal telefono galeotto emerge uno scenario tutto prosa e niente poesia, ma dai contorni poco chiari. Un imprenditore chiama i politici (Renzo Lusetti e Italo Bocchino) e avanza richieste sugli appalti a Roma e Napoli. Per ora siamo fermi a questo, non c’è traccia di denaro. Domanda: è reato? Se il lobbismo in Italia è senza regole e confini, è chiaro che tutto è affidato a una elastica interpretazione del Codice penale.Claudio Velardi è forse il miglior testimone di questa situazione: è proprietario della Reti, società di relazioni pubbliche che fa anche lobbying, tra i suoi clienti c’è l’imprenditore Romeo ed è assessore al Turismo al Comune di Napoli. Un uomo, tre ruoli. “Da quando sono assessore non c’è alcun intervento della Reti su Napoli” dice Velardi a Panorama. “Nella vicenda napoletana vedo proprio chiara l’assenza di un’azione di lobbying regolata, trasparente”. Secondo Velardi il lobbying è una garanzia: “Quando si svolgono queste attività, come le svolge la Reti, le cose vanno diversamente. Si cerca di proporre e immaginare le soluzioni più adeguate alle amministrazioni pubbliche che, ovviamente, sono libere di scegliere.Quando tutto avviene in maniera trasparente e professionale, non c’è possibilità di entrare in questa zona grigia. Da tempo c’è un’azione in corso per legiferare e la stessa Reti ha presentato diverse proposte”.Mentre al Parlamento europeo l’attività delle lobby è regolata e le aziende italiane sono presenti, in Italia tutto è affidato al caso e alla praticaccia quotidiana. Trasparenti a Bruxelles, opachi a Roma. Per Velardi è un buco legislativo: “Il Parlamento finora non è intervenuto perché (diciamocela tutta) c’è chi pensa sia più conveniente lasciare il vuoto: l’esistenza della zona grigia consente di fare azioni eticamente, e in qualche caso penalmente, molto discutibili”.I lobbisti in Italia sono riuniti in un’associazione che si chiama Il Chiostro: per uno dei fondatori, Alberto Cattaneo, della Cattaneo Zanetto & C, una delle più importanti aziende del settore, il nero napoletano è la prova che occorre un intervento. “Una legislazione sul lobbismo in Italia, diminuirebbe l’estensione della zona grigia dei rapporti tra il mondo dell’impresa e la politica” spiega Cattaneo. Modelli replicabili? “Sia la legislazione americana sia quella usata a Bruxelles sono replicabili in Italia. Servono registri pubblici e pubblicità degli incontri tra lobbisti e politici, per il politico deve essere impossibile fare lobbying mentre è in carica e nei due, tre anni successivi alla cessazione del suo mandato”.
Camere con lobbyDovrebbero essere i partiti (e il Pd in testa in questo drammatico momento) e le istituzioni a cogliere la palla al balzo. Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, pensa sia ora di rompere gli indugi: “Bisogna regolamentare l’attività di lobby, in accordo con le società di categoria, Confindustria, Confcommercio e altri che, di fatto, svolgono un’azione di difesa dei propri interessi. Rendiamo trasparente tutto questo, altrimenti anche una lecita conversazione diventa un argomento da intercettazione”.Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, fa un’analisi politica e la proietta sugli enti locali: “In Parlamento l’attività di lobby è palese perché c’è una collettività politica che controlla. Ogni frase che viene approvata su un disegno di legge o un decreto è vista da tanti occhi. L’operazione deve essere per forza trasparente. Le cose sono più complicate per gli enti locali. Il potere è concentrato in un triangolo di ferro: sindaci, assessori nominati dai sindaci, burocrazia. Poi ci sono le imprese che vanno a caccia. Tutto questo però avviene nella totale debolezza dei partiti”.La lettura che dà Cicchitto vede nell’Italia dei Valori il beneficiario finale “proprio perché si è sbriciolato il meccanismo difensivo e offensivo della cordata che copriva a sinistra”. Ora che il partito è veltronianamente “liquido” ecco all’orizzonte Tonino da Montenero di Bisaccia. Per Cicchitto “bisogna sottrarre alla politica questa sfera, perché si è visto che non è bastata Tangentopoli e la magistratura altrimenti colpisce sistemi di potere di per sé ambigui, anche quando il reato non c’è”.
Lavori in corsoIl presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, è concreto come deve essere un costruttore: “La vicenda di Napoli è istruttiva: l’appalto di manutenzione stradale a Romeo non funzionava fin dall’inizio, perché si è tolto il lavoro alle imprese che fanno manutenzione per trasferirlo a una società di servizi che in seconda battuta mette in campo le imprese. Un doppio esproprio: all’amministrazione locale sul controllo e alle imprese di costruzione che intervenivano dopo. Basta vedere anche la situazione romana per rendersene conto”.Buzzetti non pensa che levare alla politica la decisione sugli appalti sia per forza la soluzione del problema: “Negli appalti ordinari c’è un metodo di gara che comunque l’Ance considera sufficiente, la riforma è partita dopo Tangentopoli e poi si è perfezionata. Gli assessori in questo caso hanno una funzione automatica. Non si inventano un percorso. Non esproprierei gli assessori di questo ruolo, faccio fatica a vedere una rivoluzione. Alcune funzioni non possono essere che svolte dalle istituzioni”.Il controcanto è di Velardi, stavolta nei panni dell’assessore: “Non sono convinto che il sistema delle gare e degli appalti sia il più efficace. L’attuale sistema favorisce i ribassi e non aiuta la qualità”. Levare la competenza agli assessori? “Quando un politico è in grado di prendere tranquillamente le decisioni, non vedo ostacoli. Molto spesso questa bardatura di norme serve a coprire chi ha la coscienza sporca”.
Serve una cura, altrimenti sarà… lobby continua.

Mario Sechi
Panorama 2008

mario.sechi

(fonte:Panorama.it - http://blog.panorama.it/italia/2008/12/24/affari-e-politica-in-italia-e-una-lobby-continua/)

martedì 20 ottobre 2009

Analizzare e disciplinare il lobbying italiano

Meglio usare maggiore inferenza. Si era detto (in un precedente articolo) come in quell’ambiente o, se si preferisce, sotto-sistema che in termini professionali, scientifici, istituzionali si occupa della dinamica della rappresentanza di interessi presso decisori pubblici si sia formato un lessico, una specie di linguaggio d’insieme derivante da una certa acquisita consapevolezza di alcuni stabili contorni di questa attività. Si potrebbe descrivere questo processo anche come il paradigma che tiene insieme soggetti, riflessioni, apporti scientifici, comportamenti, azioni professionali, infine proposte di legge. Ora il problema che si pone, tanto al ricercatore quanto a chi intenda operare professionalmente in questo campo, è comprendere quanto questo paradigma sia adeguato, corrispondente alla realtà dei fatti e, cosa più rilevante, ad una visione realistica ma al contempo dinamica ed evolutiva del fenomeno. In altre parole ci si deve chiedere se quelle che stanno diventando “normali” teorie e descrizioni di prassi riescano a centrare e mettere in chiaro le dinamiche di relazione tra il mondo degli interessi privati ed il decisore pubblico, se siano ben collegate ad una “onesta” ricerca sui fatti e sulle modalità dei rapporti, o non rispondano invece ad esigenze e motivazioni più “formali e personali” della comunità in questione. C’e da decidere: meglio le conformità scientifiche e professionali, quindi l’istituzionalizzazione delle figure e dei ruoli, e le prescrizioni; oppure rilevare “come vanno veramente le cose” con un’impostazione più pragmatica, una visione aperta del fenomeno, ed una interpretazione più “densa” ? La domanda assume tanto più rilievo nel momento in cui si cerca da più parti di definire sostanzialmente e giuridicamente la figura del lobbista italiano e si vogliono porre parametri formativi, di azione e di relazione per questa attività. Si deve quindi dare per scontato ciò che fino ad oggi è maturato in letteratura o si deve cercare di “disorganizzare” questa rete concettuale e guardare il tutto da una diversa angolazione o, meglio, con diverso metodo e maggiore inferenza ? Senza voler allargare il discorso agli aspetti strutturali del sistema italiano (peraltro non poco incidenti) ed alla questione di fondo che nel nostro paese resta come in nessun altro aperta, e che potremmo definire per questi aspetti di democrazia partecipativa e deliberativa, dovremmo iniziare con il mettere in diversa luce, in qualche modo sfatare, alcuni elementi dati per acquisiti. Il fatto è che il lobbying italiano allo stato delle cose è indisciplinato e probabilmente indisciplinabile, almeno nel modo verticale, semplificato e non molto originale che oggi da qualcuno ci viene proposto. Per iniziare, poco sappiamo sulla consistenza quantitativa e qualitativa del fenomeno che resta nei suoi aspetti sostanziali “sotterraneo”. Se si eccettua la continua, ormai stressante, citazione delle pmi, la storia economica italiana lascia pochi dubbi sul fatto che vi siano stati o che vi siano oggi in termini distinti i due essenziali lati del rapporto, quello privato e quello pubblico. E poi, esistono dei problemi oggettivamente focalizzati e delle soluzioni negoziabili, o non assistiamo invece ad una politica “assorbitutto” che metabolizza uomini ed interessi, facendo scomparire al suo interno le diverse issues ? E in questa “politica assoluta” resta qualche spazio per l’affermazione pluralistica dei bisogni, degli interessi e per l’espressione delle politiche che dovrebbero farvi fronte ? In altre parole esiste ed è mai esistito nel nostro Paese quello che può essere definito l’aspetto “orizzontale” della politica nel quale, come unico terreno possibile, la moderna rappresentanza di interessi si dovrebbe collocare ed esprimere ?


Maurizio Benassuti R. 20 ottobre 2009


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lunedì 14 settembre 2009

Condizioni delle relazioni istituzionali dei gruppi di interesse imprenditoriali

I gruppi associativi di rappresentanza imprenditoriale, tra tutti gli aggregati sociali, vengono considerati a ragione quelli che possono avere maggiore incidenza sulla decisionalità pubblica. Il motivo è semplice: la condizione di benessere di un’intera comunità dipende in larghissima misura dall’efficiente impiego delle risorse, di tutte le più importanti risorse, da parte delle imprese. La forza strutturale del comparto economico può favorire o erodere la qualità della vita dell’intera società; questo è un fatto che chi governa, a qualsiasi livello, non può ignorare. Il “collegamento” delle aggregazioni imprenditoriali alla politica ed alle “politiche”, oggi non può essere basato (soltanto) sul finanziamento più o meno trasparente e strumentale dei partiti e degli esponenti politici o, viceversa, nella assegnazione di ruoli di responsabilità pubblica ai dirigenti delle stesse. Questo fenomeno, lo si è visto in più circostanze, può portare a spinte molto particolari e contrastanti con gli interessi del sistema democratico. Il problema del rapporto delle associazioni imprenditoriali con la politica non si può risolvere attraverso pratiche clientelari, cooptazioni, concertazioni riservate, ma sulla base di due aspetti fondamentali , l'uno di carattere organizzativo e l'altro di natura relazionale. - L'aggregazione imprenditoriali deve prsentarsi con un’assetto organizzativo coerente con la funzione: quella di aggregazione e di rappresentanza; deve sussistere una struttura funzionale alla relazione con le istituzioni e tutti gli ulteriori stakeholder presenti nel sistema sociale, economico e politico. - I protocolli di confronto con le istituzioni politiche devosono basarsi essenzialmente sulla competenza ed avere la necessaria trasparenza, così pure su canoni esecutivi e standard di livello internazionale.


sintesi mbr

Incidenza della relazione istituzionale nella innovazione della Pubblica Amministrazione

Dalla fine degli anni ’90 la visione del legislatore favorevole all’incremento dei momenti di confronto tra pubblica amministrazione e gruppi di interesse resta documentata da un consistente numero di disposizioni normative (esempio: disciplina dell’impatto della regolamentazione - AIR). Tuttavia questa impostazione continua a rimanere minoritaria nella cultura giuridica ed amministrativa del nostro paese. In realtà è assodato che, rispettate determinate precondizioni di autonomia, trasparenza, correttezza e parità di accesso, le rappresentanze dei gruppi di interesse possano fornire un importante apporto conoscitivo e valutativo nei procedimenti di produzione normativa e nella governance, a qualsiasi livello esse si debbano esprimere. Tutto ciò anche in vista della necessità di un’azione di gestione delle problematiche pubbliche sempre più tecnica e specialistica e quindi più “adeguata” ed efficace. Premesso che "la struttura della burocarzia è forse l'elemento di maggiore effetto su ogni specifico processo di policy", in linea di principio si può sostenere che l’apertura dei processi legislativi ed esecutivi alla partecipazione delle rappresentanze di interessi, anche per quanto concerne la stessa semplificazione e riorganizzazione del comparto pubblico può fornire tre essenziali contributi: a) un incremento del know how gestionale nei settori cui è rivolta la struttura amministrativa da riformare, grazie ad una conoscenza dettagliata dei fenomeni sociali ed economici verso i quali la funzione pubblica dovrebbe operare (expertise); b) un apporto di elementi valutativi ex ante concernenti l’efficacia delle decisioni da prendere e le conseguenze che da queste deriverebbero (impatto); c) una funzione di consenso preventivo all’innovazione normativa ed organizzativa, per la composizione di eventuali conflitti ed in modo da evitarne quanto più possibile l'insorgenza (contrattualizzazione delle politiche). Aspetti essenziali (elementari) della dinamica della consultazione. - Partecipazione a gruppi di lavoro, osservatori, organi consultivi pubblico-privato dei rappresentanti delle organizzazioni private interessate; - Incontri, tavoli, workshop periodici sugli aspetti generali dei processi di riforma delle funzioni pubbliche (anche locali), di regolazione e semplificazione ; - Acquisizione di progettualità, proposte o pareri su determinati schemi riorganizzativi o progetti di politiche pubbliche. Il modo in cui l'amministrazione acquista e gestisce le sue conoscenze spesso può essere la chiave di volta per ciò che in concreto può realizzare. N.B. Nel rapporto OCSE del 2001 sul sistema di governo e regolamentazione italiana si sottolineava: “passi importanti debbono ancora essere fatti, soprattutto nella direzione di rafforzare ulteriormente la consultazione pubblica (dei soggetti privati) nel processo di riforma dell'amministrazione statale (.. regionale, locale …) in quanto questo determinerebbe benefici in termini di qualità della regolazione, legittimazione e osservanza delle norme”.

sintesi mbr

sabato 12 settembre 2009

Relation style di T.Muzi Falconi

Paga essere onesti e non trovarsi mai costretti a dire una bugia. Non sempre è necessario dire tutta la verità, ma mai dire una bugia. La credibilità dell'interesse rappresentato e, a seguire, del singolo professionista sono i valori più importanti da salvaguardare;

Esplicitate sempre il proprio interesse, quello specificamente rappresentato insieme all’obiettivo perseguito;

Date sempre al decisore pubblico un valore aggiunto. Se non c'è valore aggiunto percepibile, non date nulla;

Fate bene i “compiti a casa” e indirizzate l'informazione a chi è davvero interessato a riceverla;

Nell'argomentare un tema, partite sempre dall'interesse del decisore pubblico, seguito da quello del cittadino qualsiasi, mai da quello dell'organizzazione;

Iniziate sempre con i punti salienti della richiesta, mai lasciarli alla fine;

Tenete conto delle specificità di ciascun decisore, del suo gruppo di appartenenza e dei tempi diversi di ciascuna decisione;

Ponetevi sempre l'obiettivo di ottenere dal decisore una posizione corretta, non “favorevole”;

Tenete sempre presente che siete solo una delle migliaia di fonti del decisore e non quella privilegiata;

Se non si desiderate che una frase, un commento o una notizia vengano utilizzate impropriamente, non fatene menzione, neppure in via confidenziale.


(fonte: T. Muzi Falconi, Governare le relazioni, Gorel - Il sole 24 ore, 2005)

venerdì 28 agosto 2009

La rappresentanza di interessi in UE, possibili richiami nella realtà italiana

La registrazione: un sistema su base volontaria. "Archivio pubblico delle lobby " Una formula tesa a rendere proficuo e trasparente il rapporto pubblico-privato durante i processi decisionali pubblici sia di carattere legislativo che amministrativo suggerisce la creazione un registro su base volontaria, assistito da incentivi. Una raccolta basica di dati riguardanti i soggetti portataori di interessi ed i loro rappresentanti potrebbe contenere utili informazioni sulle organizzazioni presenti nel territorio e sulle istanze per le quali esse agiscono nella relazione con l'istituzione pubblica. Potrebbe trattarsi di un archivio (telematico) conservato presso gli organismi pubblici di riferimento o persino una possibile agenzia nazionale riguardante i soggetti italiani, comunitari o extraeuropei che intendano rapportarsi con le istituzioni pubbliche di diverso livello per rappresentare particolari o diffusi interessi. La “registrazione” risulterebbe libera, non configurandosi come iscrizione ad un albo professionale; non dovrebbe quindi risultare obbligatoria e contemplare particolari oneri se non quelli legati alla trasparenza e sarebbe eseguita spontaneamente a seguito della concessione di opportuni servizi ed incentivi e per finalità essenzialmente pubblicitarie. Si osserva in proposito che alcuni dei nuovi Stati membri dell’UE stanno valutando l’ipotesi di introdurre sistemi obbligatori di registrazione in albi o elenchi pubblici per i lobbisti, ma questo non è stato finora l’indirizzo degli organismi comunitari e nazionali più evoluti (Bundestag). Lo Stato e così pure le Regioni italiane potrebbero invece, in assonanza con quanto attuato in sede UE, sviluppare e gestire un sistema di inserimento dati su base volontaria via Internet per tutti i gruppi di pressione ed i lobbisti che desiderano essere consultati sulle inerenti iniziative pubbliche. Il primo vantaggio per chi effettuasse questa facile “operazione trasparenza” potrebbe essere quello di essere volta per volta previamente avvertito (pere via telematica) qualora vi fossero delle consultazioni aperte sui temi di specificato interesse (per un esempio operativo in atto: http://www.ars.sicilia.it/edem/avvisami.jsp). Soltanto i rappresentanti dei gruppi registrati potrebbero allora giovarsi di queste preventive e tempestive informazioni ed altri benefici comunicazionali preordinati. I dati essenziali da fornire: la categoria o il soggetto rappresentati, la missione, le fonti di finanziamento, le somme impiegabili nell'azione di pressione. Giusto sarebbe accompagnare il "registro" con un "codice di condotta" da sottoscrivere dal rappresentante all'atto della registrazione. Dal punto di vista dell’opinione pubblica e del controllo sociale il registro assolverebbe alla essenziale funzione di trasparenza fornendo una descrizione generale e puntuale sulle attività dei soggetti attivi e dei gruppi che esercitano azioni di lobbismo presso le istituzioni nazionali e locali italiane. sintesi mbr

Una proposta: l'agenzia per le relazioni istituzionali

Un organo di amministrazione del sistema delle relazioni istituzionali L’aggregazione dei dati rispetto a tutti i soggetti e le attività di rappresentanza di interessi presso le diverse istituzioni pubbliche del nostro paese, secondo alcuni definiti standard, potrebbe essere resa effettiva con l’istituzione di una agenzia pubblica per le relazioni istituzionali (vedi per analogia: http://www.aranagenzia.it/) che fungesse da organizzazione di garanzia, registrazione, accreditamento e controllo sull’intero sistema delle relazioni istituzionali italiane. Ovviamente tale agenzia dovrebbe poter disporre di poteri ispettivi e repressivi per quanto concerne le pratiche esorbitanti i principi etici e legali dell’attività di relazione istituzionale con riferimento ad entrambi i soggetti del rapporto. Per i controlli sull’attività di relazione dei rappresentanti istituzionali eletti l’agenzia non potrebbe che avere prerogative limitate: semplice richiesta diretta di informativa da rivolgersi all’interessato e potere di proposta sanzionatoria agli organi disciplinari competenti presso le assemblee elettive. mbr ©

Standard di consultazione

Soluzioni organizzative e standard per la consultazione delle parti interessate. Dall’esperienza europea si possono desumere alcuni indicatori sia per le garanzie che per l’efficacia di una consultazione. Fatta salva in ogni circostanza la preventiva e doverosa valutazione da parte dell’organo pubblico dei requisiti minimi di carattere organizzativo e legale dei propri interlocutori privati, gli standard della relazione istituzionale dovrebbero allora partire ed in qualche modo comprendere alcune specifiche precisazioni di ordine pubblicitario sugli attori, con esposizione delle caratteristiche tanto dell’organo pubblico coinvolto quanto del gruppo di interesse agente, nonché del motivo puntuale degli interventi in sede politica, istituzionale, amministrativa e della relazione così instaurata. In altre parole: trasparenza e responsabilizzazione per entrambi i lati del rapporto e per tutti quegli aspetti che dovrebbero rappresentarne lo sviluppo. Per quanto attiene il lato privato, preventivamente ad ogni accreditamento si dovrebbero enunciare le indicazioni concernenti i dati personali dei rappresentanti, la descrizione degli interessi posti in oggetto, del grado di rappresentatività, del livello di competenza e di expertise, delle risorse (di ogni tipo) messe in campo. Rilevante sarebbe che anche che i contributi espositivi (giuridici e tecnici) e le specifiche richieste dei partecipanti alle consultazioni ricevessero pubblicità e fossero in vario modo accessibili, ad esempio attraverso la piattaforma telematica del sito internet dell’amministrazione interessata. Tali informazioni potrebbero essere rese disponibili e restare anche successivamente documentate attraverso un apposito sistema-archivio di schede informative predisposte “a griglia”, gestite dall’istituzione pubblica destinataria dell’azione di pressione o, qualora fosse istituita, da una agenzia di garanzia e controllo del sistema. Verrebbe in questo modo gradualmente a formarsi una base dati (meglio se aggregata), su esposizione e partecipazione volontaria, riguardante le organizzazioni della società civile ed economica nazionale interessate alla decisionalità pubblica in vari settori. In sintesi: un database sui gruppi di interesse (lobby) operanti in ambito nazionale e locale e sulle attività da essi svolte. mbr ©

Tendenze disciplinari nella realtà delle relazioni istituzionali italiane

Oggi, in sede nazionale, differentemente da quanto è accaduto presso le istituzioni UE, non sembra essere “risalita” nell’agenda politica l’esigenza di assetto del fenomeno della rappresentanza di interessi; detto in modo più semplice non esiste una tangibile politica pubblica attinente tale sistema di rapporti, mentre questa, a partire dall’esigenza primaria di legalità, trasparenza, efficacia, appare sempre più essenziale, improcrastinabile, per l’evoluzione del nostro sistema politico ed economico. Le misure su cui sarebbe necessario porre l’attenzione sono i sistemi di controllo sociale, e la regolamentazione. Da una parte, per rispondere all’esigenza di controllo sociale, dovrebbero essere incrementati i luoghi materiali e virtuali e le occasioni di confronto per fornire all’opinione pubblica informazioni relative ai rapporti tra i rappresentanti dei gruppi di interesse e gli organi istituzionali (di qualunque livello). Dall’altra si fa sentire la necessità di porre norme, anche di autoregolamentazione, per garantire l’integrità etica, la legalità e l’opportunità di questa dinamica relazionale; norme condivise che possano concretamente “aiutare” la buona condotta delle persone svolgenti ruoli di decisionalità pubblica esposte a tali attività e, prima ancora, degli stessi rappresentanti di interessi. Così mentre in sede comunitaria con l’adozione di registri per le rappresentanze di interessi ed altre collaterali iniziative disciplinari (2008) si è arrivati ad un punto di sviluppo e di “decorosa” definizione del quadro dei rapporti, nel nostro paese il dibattito e soprattutto l’azione pubblica rimane sullo sfondo dell’agenda politica. Per quanto ci riguarda, nella finora inutile attesa di una presa di coscienza da parte del legislatore (e dell’esecutivo), non resterebbe priva di rilievo e positive conseguenze la determinazione di una autoregolamentazione su base volontaria sia per la parte pubblica che per coloro che, come parti private, svolgono attività di rappresentanza di interessi. In base all’approccio adottato a livello europeo, l’accento dovrebbe essere immediatamente posto sul comportamento etico dei rappresentanti delle stesse istituzioni oltreché sull’elaborazione di ulteriori norme deontologicamente vincolanti relative alla condotta dei lobbisti. Dunque anche i rappresentanti istituzionali - oltre alle relative disposizioni derivanti dai principi di ordine costituzionale ed ordinario riguardanti l’attività politico-istituzionale e l’azione amministrativa - dovrebbero essere tenuti a rispettare, anch’essi su base volontaria, ulteriori dettati volti a rafforzare la loro imparzialità ed indipendenza. Per quanto riguarda invece i soggetti privati “interessati” che entrano in relazione con gli apparati pubblici le caratteristiche principali di un codice di condotta potrebbero essere così riassunte: - agire in maniera onesta e dichiarare sempre l’interesse che essi rappresentano, - non presentare né divulgare informazioni false o fuorvianti, - non offrire alcuna forma di incentivo per ottenere risposte o ricevere un trattamento preferenziale. In entrambe i casi dovrebbero far seguito puntuali definizioni dei meccanismi di controllo e aspetti sanzionatori. Detti codici di autoregolamentazione dovrebbero riguardare non soltanto i rappresentanti pubblici e lobbisti professionisti che operano come dipendenti fissi di gruppi di interesse o per mandato di questi in apposite strutture ed agenzie, ma anche coloro che si dedicano saltuariamente ad attività di lobbismo (es.: studi legali ed esponenti di centri studi). Inoltre, poiché un sistema di questo tipo si baserebbe in prevalenza sull’autodisciplina, per renderlo compiuto ed efficace, sarebbe comunque necessario porsi sulla via di un consolidamento condiviso dei codici già esistenti (per il nostro paese vedi: http://www.ilchiostro.org/index.php?page_id=55#sel_codice ) ed introdurre un quadro comune di attuazione e di sanzioni rispettato da tutti. In riepilogo va evidenziato che le due opzioni riferentisi al controllo sociale ed alla regolamentazione, rispetto agli obiettivi di fondo, sono in realtà interdipendenti ed integrate. Il controllo esterno presuppone infatti che "a monte" siano fissati e divulgati con i mezzi più idonei dei principi generali e requisiti minimi o standard per la consultazione delle parti interessate. Il complesso di coregolamentazione o semplicemente di autoregolamentazione sarebbe infine esso stesso mirato alla trasparenza. In ogni caso l'interazione di standard operativi e trasparenza punterebbe diritta verso l'obiettivo essenziale di migliorare in modo energico e con riflessi pressoché immediati la qualità della funzione di governo e legislativa locale e nazionale nei diversi settori di intervento. mbr ©

Interesse pubblico e interessi particolari

Per dare qualche elemento di concretezza al dibattito sull’inquadramento del fenomeno lobbistico anche per quanto concerne il livello nazionale è opportuno innanzitutto dare uno sguardo, sia pur schematico, alla prassi dei rapporti tra le nostre istituzioni pubbliche e coloro che tendono ad essere definiti anche nel nostro paese lobbisti (più opportunamente: rappresentanti di interessi). In ogni caso vi sono alcune premesse descrittive ed esigenze disciplinari che non sono dissimili per quanto concerne lo scenario continentale e nazionale. Il lobbismo rappresenta una componente fattuale, strutturale e legittima dei moderni sistemi democratici; va assumendo progressivo rilievo in qualunque livello istituzionale esso si esplichi, a prescindere dal fatto che sia svolto da singoli cittadini, formazioni sociali, organismi intermedi , organizzazioni economiche ed altri gruppi di interesse o da soggetti specializzati che lavorano per conto di essi (esperti di affari pubblici, centri di studi, studi legali). Superati alcuni non trascurabili e negativi esempi, nel gioco democratico, a certe condizioni, i rappresentanti di interessi con la loro azione possono persino dimostrare di poter contribuire a richiamare l’attenzione delle istituzioni su alcune problematiche rilevanti per l’intera comunità. Per questo motivo in alcuni casi gli enti territoriali hanno ritenuto di dover offrire un riconoscimento per garantire la presenza consultiva di questi soggetti a fianco del livello di governo (ad esempio per quanto concerne l’espressione delle posizioni dei consumatori e dei disabili o gli interessi in campo ambientale, ecc.). Nel contempo, si è dimostrata in più circostanze l’esigenza di predisporre un complesso di garanzie atte ad evitare che, attraverso un uso scorretto e strumentale delle pratiche lobbistiche, venga esercitata una pressione occulta o indebita sulle istituzioni pubbliche ed i loro rappresentanti per fini esulanti o palesemente contrastanti con quelli generali. In questo senso, qualora dei gruppi di interesse intendessero contribuire allo sviluppo delle politiche pubbliche nazionali o locali in un quadro di garanzie democratiche, dovrebbero avere come prima preoccupazione quella di essere trasparenti: illustrare la propria missione generale e l’obiettivo particolare che essi si pongono. Portare all’attenzione dell’opinione pubblica l’apporto specifico che intendono offrire ed illustrare la compatibilità di questo con l’utilità generale. Indicare inoltre con chiarezza ed accessibilità le modalità di sostegno finanziario e le risorse impiegate nell’azione di pressione, con l’individuazione degli operatori e dei soggetti, persone fisiche e giuridiche, che direttamente o indirettamente "entrano in questo gioco". Per le istituzioni, di ogni ordine e livello, per altro verso viene il dovere di agire con imparzialità ed indipendenza identificando e salvaguardando prima di tutto “l’interesse generale della comunità”; quindi la potestà di adottare ogni deliberazione in ossequio alle finalità generali dello Stato, senza subire interferenze o indebite pressioni. La questione fondamentale che si pone è quindi quella relativa ai provvedimenti da adottate per garantire la trasparenza e la legalità di questo sistema di relazioni. Così di tratterà di elaborare indirizzi, disposizioni ed autoregolamentazioni che devono oggi più che mai risultare efficaci e proporzionate alla rilevanza quantitativa e qualitativa del fenomeno. mbr ©

La partecipazione informata


Nel corso del procedimento di elaborazione di una politica pubblica, così come di emanazione di un provvedimento legislativo o un atto amministrativo di carattere generale, per la complessità dei problemi sociali ed economici che si vanno ad affrontare, si mostra sempre di più l'esigenza di disporre di un'ampia gamma di conoscenze che al di là di quelle puramente giuridiche, possono toccare aspetti tecnici, scientifici, sociologici (ecc.), o dati appartenenti al patrimonio culturale ed esperienziale di organismi privati o individui. Per questo la consultazione e partecipazione dei soggetti portatori di interessi diffusi o particolari (stakeholder) e, se necessario, di esperti rappresenta un momento indispensabile per migliorare la qualità dell’azione di governo, della legislazione e infine della stessa basilare attività amministrativa. Fissare alcuni “requisiti minimi” per questo rapporto pubblico-privato significa creare un protocollo di riferimento generale finalizzato alla trasparenza, ma al contempo porre le premesse per il miglioramento della governance a qualsiasi livello essa si esprima. Si richiedono così percorsi di consultazione dei portatori di interessi piuttosto flessibili e quindi modulabili, tali da consentire di adattare i metodi alla configurazione dell’interlocutore ed ai settori specifici, con l'esigenza prioritaria di mantenere in ogni caso le caratteristiche basilari della legalità, imparzialità, trasparenza, efficacia dell’azione pubblica. Si potrebbe dire: garanzia di qualità del processo, qualità dell’output e dei risultati. Tutto questo assume ancora maggiore rilievo se le proposte politiche degli organi esecutivi e legislativi dello Stato e delle Regioni, sono particolarmente incidenti; quelle per le quali, come sempre più spesso accade, viene richiesta un’istruttoria ragionata ed un'attenta valutazione preventiva e successiva d’impatto. Questi requisiti minimi o norme di condotta allo stato attuale della nostra legislazione non sono giuridicamente delineati e quindi tantomeno vincolanti ma, laddove in pratica siano posti ed abbiano iniziato ad affermarsi, costituiscono un utile banco di prova per lo sviluppo in senso moderno e democratico dei rapporti tra l’apparato pubblico e la società civile ed economica. mbr ©

I cinque principi della (corretta) governance



Cinque principi sono alla base della governance.
Tali principi si applicano a tutti i livelli di governo: globale, europeo, nazionale, regionale e locale
(Libro Bianco Commissione EU 2001 cap.II.I ).

Questi principi costituiscono il fondamento della democrazia e della legalità nelle istituzioni politiche dell’Unione e degli stati che ne fanno parte.

Apertura,
Partecipazione
Responsabilità
Efficacia
Coerenza

Ciascuno di essi è essenziale al fine d'instaurare una governance efficace e più democratica.
Ma uno più degli altri per quanto concerne la rappresentanza di interessi e le relazioni istituzionali che ne derivano assume rilievo: quello di partecipazione.
La c.d. democrazia degli interessi dipende infatti in larga misura dalla possibilità di tutti di partecipare al dibattito pubblico: le politiche pubbliche non sono fatte solo dai governi, ma da un continuo confronto tra attori pubblici e privati (governance).

Alla base della partecipazione tuttavia sta un altro aspetto ed un ulteriore principio che risulta implicito: quello della informazione, in base al quale tutti debbono poter avere accesso agli aspetti pubblici delle questioni istituzionali in modo da poter seguire il processo politico nel modo più opportuno e nelle sue varie fasi.

Per lo sviluppo compiuto di questo binomio e della relazione che ne scaturisce un ruolo importante hanno le tecnologie dell'informazione e della comunicazione ed oggi le piattaforme web interattive.
Informare e comunicare di più e meglio è la condizione essenziale per sviluppare ogni forma di qualificata partecipazione.

Questi non sono principi astratti ma quadri di natura tecnica e politica che costituiscono anche i punti di riferimento per il dibattito sulla evoluzione delle nostre istituzioni comunitarie, nazionali, regionali e locali (government).


sintesi mbr

lunedì 24 agosto 2009

Imprese politica istituzioni

Relazioni e confronti. In Italia, fuori da alcuni ambienti che vorremmo definire emancipati e dalle esperienze di alcune più rilevanti organizzazioni economiche, l’azione professionale di rappresentanza di interessi (lobbying) continua a suscitare una mal celata diffidenza. In effetti nel nostro paese l’assetto complessivo dei rapporti stato-mercato non è mai stata cosa di facile approccio. Non è casuale che fino ad ora nessuno dei tentativi di regolamentare in modo specifico gli aspetti più prettamente operativi e professionali di questa relazione abbia avuto successo, trovando una costante resistenza nelle forze di governo nazionali e locali. A parte la rilevabile presenza di “poteri forti” poco interessati alla trasparenza, nella nostra cultura politica permane un atteggiamento che, se per molti aspetti e dati di esperienza appare fondato, risulta comunque piuttosto ipocrita: quello di evitare di definire e toccare con scelte di fondo o con una razionale disciplina il fenomeno. Si tende così sostanzialmente a negare l’esistenza della possibile, a volte molto marcata, azione generale di “pressione” degli interessi organizzati e l’incidenza della stessa; così pure restano poco evidenziate le specifiche iniziative assunte rispetto alle strutture pubbliche ed al corpo politico da parte di aggregazioni portatrici di interessi sia categoriali che territoriali (lobbies). Allo stato delle cose non esiste alcun riconoscimento politico e legale di questa relazione e della funzione esercitata dai portatori di interessi nei processi decisionali pubblici, tantomeno di quella che sempre più si dovrebbe delineare come una vera dimensione professionale interna o commissionata: quella del lobbista. All’opposto, ciò che ha attinenza alla rappresentanza degli interessi diventa spesso oggetto di reticenza se non di voluta omissione. Le sedi politiche nazionali e regionali, nonché gli uffici degli esecutivi e relativi corpi burocratici, sono in realtà affollate da operatori delle cosiddette relazioni pubbliche, ma nell’ufficialità definire tutto questo propriamente lobbying è fuori discussione. Il termine lobby inserito in questo contesto risulta ancora essere una parola con significati e rappresentazioni molto discutibili, quindi bandita dal linguaggio in uso. Una differenza sostanziale dalla situazione di oltre-oceano cui spesso si fa riferimento, dove non solo troviamo una ricercata disciplina, ma anche svariate indicazioni in atti di natura pubblica sulle modalità organizzative dei gruppi di pressione (es. PAC) e le relative azioni di lobbying con le sue articolate forme ed espressioni. Negli Stati Uniti, per favorire la trasparenza di questa dinamica, dall’interno degli organi legislativi e governativi vengono diramate notizie aggiornate e posizioni puntuali di legislatori e decison makers su materie e questioni importanti per l’economia e la società americana. Nelle democrazie più articolate e consolidate quindi le attività di rappresentanza di interessi, salvo sempre possibili comportamenti illegali, tendono a svolgersi alla luce del sole, tanto da essere disciplinate prima ancora che dalla legge da prassi e codici di autoregolamentazione che toccano entrambe le parti coinvolte. Le più recenti tra queste iniziative, che sono arrivate a lambire gli ambienti comunitari europei, riguardano delle organizzazioni finalizzate al miglioramento dei rapporti tra mondo politico ed affari il cui scopo principale è quello di stabilizzare il dialogo tra i due ambiti e gestire processi di formazione ed informazione reciproca tra eletti, imprenditori ed amministratori pubblici sulle rispettive attività e funzioni. In realtà nel nostro contesto al di fuori di puntuali orientamenti disciplinari e sedi di confronto più o meno istituzionalizzate come queste ci sono forti rischi che le intenzioni di chi ricerca, sia pure con le migliori intenzioni, il contatto con gli organi pubblici siano travisate e che le occasioni d’incontro offrano il pretesto per tentativi di strumentalizzazione o, peggio, per attività consociative. Così può accadere che se un'organizzazione di rappresentanza industriale o professionale proceda a promuovere un incontro con parlamentari o amministratori locali per esporre le proprie tesi su alcune politiche economiche, i media, assecondando gli interessi della propria parte, presentino l’iniziativa come un raduno clientelare di affaristi e politici per la trattazione di questioni fin troppo particolari. Il fatto è che in ogni caso il rapporto tra impresa e potere pubblico, anche per la forte incidenza di non edificanti fatti di cronaca, viene generalmente inteso come luogo di affermazione degli interessi del capitale in contrapposizione all’interesse generale e finisce per assumere una connotazione negativa. Contro questo modo di porre le cose va sottolineato che la ricerca di un più stretto ma trasparente e per quanto possibile codificato collegamento tra economia e politica dovrebbe nascere essenzialmente dalla necessità di assicurare un costante e reciproco scambio di idee ed esperienze. L’assunto è che legislatori e governanti potrebbero trarre beneficio dall’apporto di chi opera nel campo economico per la pratica e l'esperienza vissuta dei problemi; mentre le imprese dovrebbero imparare a conoscere la complessità delle logiche e dei meccanismi di funzionamento degli organismi pubblici, in modo da rappresentare in maniera leggibile ed efficace anche in quella sede i quadri di riferimento e le proprie istanze. Tutto ciò potrebbe essere un motivo per apprezzare ancora di più l’atteggiamento di avanguardia di quegli organismi ed associazioni imprenditoriali che volessero decidere oggi, senza attendere oltre, di assumere iniziative di autodisciplina e rendere note, pubblicandole sul proprio sito, o divulgandole con altri mezzi più tradizionali, le posizioni assunte su materie all’esame del decisore pubblico, in occasione di confronti privati e pubblici, specifiche audizioni ed eventuali concertazioni. Il giorno in cui anche nel nostro sistema sociale ed economico si potrà dichiarare apertamente da entrambi i lati del rapporto l’esistenza di tavoli formali di confronto e dell’azione di operatori professionali di lobbying, nonché pubblicarne le cronache e gli esiti senza suscitare scandalo, avremo fatto finalmente un passo avanti sulla strada che porta verso un paese più moderno e democratico.


Maurizio Benassuti R. 24 agosto 2009


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Consultazione dei portatori d’interessi.

Principi generali e i requisiti minimi: orientamenti comunitari.

I principi generali per la consultazione sono:
partecipazione,
apertura,
responsabilizzazione,
efficacia
coerenza.

In termini pratici, ciò significa garantire che l’organo pubblico che si accinge ad una deliberazione di rilievo politico o con riflessi generali organizzi audizioni delle parti interessate e che tali processi di consultazione siano trasparenti, efficaci e coerenti.

I cinque requisiti minimi riguardano diversi aspetti del processo.

A. Chiarezza del contenuto del processo di consultazione
Ogni comunicazione relativa ad una consultazione deve essere chiara e concisa, oltre a
contenere tutte le informazioni atte ad agevolare la risposta degli interlocutori.

B. Destinatari delle consultazioni
Nel definire le categorie di destinatari delle consultazioni, l’organo pubblico deve accertarsi
che tutte le parti interessate abbiano la possibilità di esprimere il loro punto di vista in condizioni di parità.

C. Pubblicazione
L’organo pubblico deve provvedere a diffondere le informazioni necessarie per sensibilizzare l’opinione pubblica e adattare i propri canali di comunicazione per raggiungere nel modo più opportuno le varie tipologie di pubblico. Senza escludere altri strumenti di comunicazione, gli esiti delle consultazioni dovrebbero sempre essere presentati su Internet e pubblicizzati su adeguati “punti di accesso”.

D. Limiti di tempo per partecipare
Nella programmazione dei lavori l’organo pubblico dovrebbe sempre lasciare alle parti interessate un tempo sufficiente per rispondere agli inviti ed inviare contributi tecnici e memorie scritte.

E. Ricevuta e feedback
L’organo pubblico, ricevute le apposite valutazioni dai rappresentanti degli interessi, rilascia ricevuta dei contenuti inoltrati.
I contributi alla consultazione ed i risultati della stessa, qualora non tocchino aspetti riservati, vengono diffusi via Internet sui siti istituzionali.
Si deve in ogni caso offrire un adeguato feedback alle parti che presentano i loro commenti e all’opinione pubblica in generale”


sintesi mbr

(fonte: allegato 2 orientamenti Commissione UE L.V. Trasparenza maggio 2006)

Questionario per organizzazioni rappresentative di interessi




QUESTIONARIO SULLA DISCIPLINA DELLE ATTIVITA’ DI LOBBYING



Concordate sul fatto che una adeguata e tempestiva informazione rivolta alle organizzazioni rappresentative di interessi particolari o diffusi consente alle stesse di partecipare in modo qualificato al processo di elaborazione delle politiche pubbliche e rappresenta uno strumento indispensabile per migliorare la qualità della legislazione e dell’attività amministrativa sia dello Stato che degli enti locali.

Si
No
Non so



Concordate sul fatto che nel nostro paese in caso di consultazioni si dovrebbero adottare delle misure per rendere più trasparenti le attività di rappresentanza di interessi presso le istituzioni pubbliche?

Si
No
Non so



Concordate sul fatto che gli organismi di rappresentanza che desiderano essere automaticamente avvertiti dalle istituzioni di riferimento su possibili iniziative o politiche pubbliche che li riguardino debbano preventivamente registrarsi e fornire informazioni, ivi comprese quelle riguardanti i loro obiettivi, la loro situazione finanziaria e gli interessi che essi rappresentano?

Si
No
Non so




Concordate sul fatto che tali informazioni dovrebbero essere accessibili al pubblico?

Si
No
Non so




Chi ritenete dovrebbe gestire un eventuale registro dei rappresentanti di interesse?

Una autorità pubblica indipendente
Lo Stato
Le Regioni
Una associazione o fondazione raggruppante i rappresentanti di interesse
Non so



Ritenete che sia opportuno consolidare i codici di condotta esistenti aggiungendo una serie di requisiti minimi comuni e condivisi dalle principali organizzazioni economiche e sociali?

Si
No
Non so



Chi dovrebbe redigere il codice di condotta ?

L’associazione professionale dei rappresentanti di interessi
Una conferenza programmatica delle organizzazioni di rappresentanza degli interessi
Lo Stato
Le Regioni
Non so



Concordate sul fatto che sia necessario un nuovo organismo pubblico e rappresentativo di controllo per vigilare sul rispetto del codice e che la violazione di quest’ultimo debba dar
luogo all’applicazione di sanzioni?

Si
No
Non so



Concordate sul fatto che siano necessari anche codici di autoregolamentazione per esponenti politici e dirigenti pubblici oltre le normali norme che ne disciplinano l’attività ed i poteri ?

Si
No
Non so



Ritenete che sia necessario prevedere un organo di controllo e delle sanzioni per la violazione di queste norme di deontologia pubblica ?

Si
No
Non so


(mbr - adattamento del questionario Commisione Ue maggio 2006)

giovedì 20 agosto 2009

Le lobby solo in una democrazia garantita

Lobbisti che parlano di democrazia. Esistono in Italia le condizioni affinché si possa sviluppare una corretta, garantita, dialettica tra i gruppi sociali, la politica, le istituzioni ? Forse ci sono situazioni e derive che impediscono che ciò possa accadere: “l’altra faccia della luna” come si dice in un recente saggio. Forse non si è notato - o non si è voluto far notare - che il tema delle dinamiche relazionali relative alle rappresentanze di interessi potrebbe essere uno dei nodi centrali dell'evoluzione della nostra fin troppo semplificata e ridotta democrazia. Quali sono allora gli elementi strutturali del nostro sistema politico che impediscono che in questo paese si possa parlare in senso proprio e moderno di lobbying o di “trasparenti” relazioni istituzionali ? Non sarebbe difficile individuarli ed enunciarli .. a volerlo fare ... Ma poi a chi gioverebbe ? Nonostante ciò dobbiamo ammettere che anche se non esiste un quadro ufficiale di riferimento, tantomeno una disciplina specifica e sebbene riguardo agli aspetti qualitativi e quantitativi del fenomeno non si abbiano dati consolidati, una certa abbozzata identificazione del lobbying italiano sia stata fatta, almeno sul piano operativo. Si potrebbe persino dire che, mutuando i contorni dall’esperienza comunitaria e nord-americana, si è arrivati ad un decoroso livello di statuizione degli standard professionali che dovrebbero contraddistinguere questa attività anche nel nostro paese, tenendola distinta da esperienze professionali che vanno dal giornalismo parlamentare, alla consulenza politica, fino alla legistica. In questa direzione il lavoro scientifico di alcuni pionieri, la nascita e lo sviluppo di alcune importanti agenzie, disegni di legge, episodi della cronaca e dibattiti, un’associazione che inizia a collegare un discreto numero di operatori, confronti attraverso il web. Alla fine si sono venuti a definire l’oggetto, il campo di azione, ed una sorta di “statuto” scientifico e professionale che dovrebbe avere chi opera con queste prerogative. Un aspetto preliminare su cui ci si è dovuti necessariamente concentrare è stato inevitabilmente quello definitorio, il cui riflesso ritroviamo nei più recenti disegni di legge e nel linguaggio scientifico. Dai tratti emergono due componenti: la competenza, o meglio le competenze; la deontologia. A “monte”, non abbastanza rimarcato, il necessario profilo di ordine etico-politico, come imprescindibile pre-requisito identitario del lobbista professionale. Fondamento costituzionale del tutto può essere considerato l’art.50 della Costituzione, dunque una norma di principio, un riferimento ampio e di tipo valoriale che introduce in un certo senso il discorso sulle possibili dinamiche di democrazia deliberativa: tutti i cittadini, singoli o associati “possono” rivolgersi ad una assemblea legislativa per esporre “necessità” e chiedere provvedimenti, così recita la norma. Ora, è nel significato pratico che si voglia attribuire a quel “possono” che sta il vero problema del lobbismo italiano. La questione cambia infatti se verifichiamo la praticabilità giuridica astratta dell’azione di relazione istituzionale, di proposta informata, di richiesta di valutazione di alcune categorie di interessi, dalla effettiva possibilità di esercizio di questi diritti e facoltà. E ancor diversa è la questione dell’efficacia di questi “eventuali” interventi partecipativi alle fasi istruttorie e (pre)decisionali nei procedimenti legislativi o nei processi di elaborazione delle politiche pubbliche. In altre più semplici parole ci dobbiamo chiedere se esistono quelle che abbiamo sopra definito le condizioni strutturali affinché le ordinarie rappresentanze di interessi di ambito economico o del mondo no profit - normalmente escluse dal triangolo della concertazione - possano concretamente prima presentare, poi sostenere, infine veder considerati i propri portati nella decisionalità pubblica ? Pare che oggi più che mai la risposta sia di tutta evidenza e che alcune specifiche e molto ingombranti “presenze”, se si vuole “anomalie”, del nostro sistema ci mostrino quale sia allo stato delle cose questa risposta. In qualche modo anticipando le conclusioni di una riflessione, che meriterebbe di essere fatta ed approfondita in altra sede, sembra di poter dire che l’attività di lobbying - se questo debba essere ciò che di “dignitoso” si è venuto a definire nel discorso accademico e professionale di questi ultimi anni - non abbia possibilità di esplicarsi in modo diffuso e compiuto in ambiti come quello italiano attuale, qualunque sia il livello istituzionale toccato. Più realistico affermare che essa potrebbe trovare luogo e sviluppo solo in un contesto democratico maggiormente garantito e pluralista. Lobbisti che parlano di democrazia: sconcerto o crescita ?

Maurizio Benassuti R. 1 settembre 2009


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Dirigenza pubblica: operazione trasparenza

Rilevante ai fini delle prassi delle R.I. il richiamo che la recente legge n.69/2009 fa alla necessità di pubblicazione dei profili professionali della dirigenza pubblica.

Un interessante esempio applicativo

http://www.cnipa.gov.it/site/it-IT/Il_Centro_Nazionale/Operazione_trasparenza/



LEGGE 18 giugno 2009 , n. 69
Art. 21.
(Trasparenza
sulle retribuzioni dei dirigenti e sui tassi di assenza e di maggiore presenza del personale)

1. Ciascuna delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ha l’obbligo di pubblicare nel proprio sito internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici ad uso professionale dei dirigenti e dei segretari comunali e provinciali nonché di rendere pubblici, con lo stesso mezzo, i tassi di assenza e di maggiore presenza del personale distinti per uffici di livello dirigenziale.
2. Al comma 52-bis dell’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la lettera c) è sostituita dalla seguente:
«c) obbligo, per la singola amministrazione o società che conferisca nel medesimo anno allo stesso soggetto incarichi che superino il limite massimo, di assegnare l’incarico medesimo secondo i princìpi del merito e della trasparenza, dando adeguatamente conto, nella motivazione dell’atto di conferimento, dei requisiti di professionalità e di esperienza del soggetto in relazione alla tipologia di prestazione richiesta e alla misura del compenso attribuito».
3. Il termine di cui all’alinea del comma 52-bis dell’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è differito fino al sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.

mercoledì 19 agosto 2009

Analisi di processo: Il consiglio regionale umbro all'avanguardia

Analisi di processo è il nome che si è scelto presso il Consiglio Regionale della Regione Umbria per raccogliere in un’unica definizione l’insieme delle informazioni, delle analisi e degli approfondimenti sugli atti legislativi regionali.
La documentazione prodotta e tutto quanto c'è da sapere di una legge regionale, dall’elaborazione della proposta alla sua entrata in vigore, fino al momento della valutazione degli esiti.

L'analisi di processo si articola in sette capitoli generali, ognuno dei quali contiene
diverse voci di approfondimento:
1 proposta
2 dati identificativi
3 valutazione ex ante
4 attività delle Commissioni
5 attività dell’aula
6 adempimenti successivi
7 valutazione ex post


La valutazione ex ante (punto 3) come si dice nella presentazione ufficiale è uno dei momenti di maggiore delicatezza della procedura di prepazione ed emanazione dell’atto normativo. Comprende l'analisi tecnico-normativa, l’analisi documentale e la valutazione delle politiche che vi sottostanno.
Approfondisce, trattandoli con puntualità e accuratezza, gli aspetti già evidenziati nella proposta, dagli obiettivi e finalità, fino allo schema economico-contabile dell’intervento.
Questa fase dal punto di vista delle relazioni istituzionali è la più rilevante essendo quella in cui attraverso audizioni o trasmissioni di paper si attua la partecipazione informata dei soggetti interessati al processo deliberativo pubblico.

sintesi mbr

Fonti:

http://www.crumbria.it/pdf/analisi_di_processo.pdf

http://www.crumbria.it/page.asp?c=17&r=&tipor=0

lunedì 10 agosto 2009

Lobbying "italiano"

Definizione e contorni Sembrerebbe che nell’ambito di quelle persone ed organizzazioni che in termini più o meno professionali, scientifici, o altro si occupano della dinamica della rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici si sia formato un lessico, una specie di definizione d’insieme derivante da una sorta di consapevolezza tecnica di questa attività e dei suoi contorni. Una consapevolezza che se ben incanalata e gestita, anche attraverso alcune iniziative di tipo associativo potrebbe in effetti portare a qualche passo in avanti verso la professionalizzazione degli attori e delle sedi. Ma - e questo è il punto - gli aspetti definitori autodeterminati, scontano due limiti, o meglio si rapportano con difficoltà allo stato reale delle cose, che oggi non sembra essere, per una modalità di rappresentazione autenticamente contenutistica e democratica degli interessi, il più opportuno. Il primo di questi ostacoli è di carattere “strutturale”; l’altro scientifico e relazionale. Piegare un istituto anglossassone, il lobbying, volendo usarne con proprietà il termine descrittivo, alla prassi ed al quadro relazionale pubblico-privato italiano è un’operazione piuttosto azzardata. Infatti risulta poco compreso e in questo contesto, per alcune particolari evidenze, più spesso frainteso. Quella italiana, lo sappiamo bene, è una democrazia complessa, per molti aspetti diminuita, ridotta ai minimi termini, non tanto e non solo per l’attuale macroscopico disequilibrio nei poteri, ma per lo storico prevalere di alcuni aggregati e corporazioni che da sempre letteralmente bloccano il sistema. Definirlo un modello neo-corporativo sarebbe ancora un eufemismo. Quando mai le cupole finanziarie, le dinastie del capitalismo italiano, o i titolari delle grandi società pubbliche, o ancora, le rappresentanze sindacali o le principali istituzioni religiose hanno avuto bisogno di “rappresentare” i propri interessi e aspettative ? E' più facile pensare ad una sorta di occupazione, di direttive vincolanti o, peggio, di oneri molto impropri addossati al soggetto pubblico, piuttosto che di trasparente ed equilibrato negoziato di interessi. Un altro non trascurabile e specifico difetto del nostro sistema, chiamiamolo così, è dato dalla pervasiva presenza in ogni rapporto economico o politico di rilievo tra interlocutore pubblico e privato (al sud e al nord !) di quello che viene troppo semplicisticamente definito come "il fenomeno mafioso", che ripropone in realtà uno stile che viene ancor prima di ogni risvolto penale. Inutile citare esempi. Ci sarebbe da chiedersi in proposito quale fino ad oggi sia stato il ruolo del tipico nazional-lobbista in alcune note vicende risalite nelle cronache giudiziarie. Vien da pensare che i maggiori danni concettuali, operativi e definitori sia stata dunque la stessa categoria di questi “mediatori” di interessi ad averli prodotti. L’altro aspetto da mettere in rilevo attiene a quello che si potrebbe definire lo “statuto scientifico e professionale” dell’attività lobbistica. C’è una certa confusione anche in questo campo. Pubbliche relazioni, comunicazione pubblica ed istituzionale, legistica, tecniche negoziali e management, relazioni internazionali e progettazione comunitaria… e chi più ne ha ne metta. Si possono vedere i piani di studio dei corsi di perfezionamento presso alcune note università della capitale. Un'ammirevole composizione di conoscenze richiesta alla base della formazione e dell’azione del neo-lobbista italiano, ma alla fine una complessa miscellanea che non evidenzia un tratto formativo ed esperienziale prevalente ed identificante. Così, de iure condendo, molto diversi sarebbero i contenuti di una possibile disciplina (e quindi dell’identità) professionale se la si volesse considerare dal punto di vista delle relazioni pubbliche anziché da quello tecnico-giuridico pittosto che da quello manageriale; ma questo solo per fare una semplificazione. In altre parole siamo ben lontani dalla possibilità concreta di affermazione del lobbying, così come molti ora anche nel nostro Paese lo vorrebbero interpretare e prima ancora denominare; una realtà oltretutto che vede sempre più protagoniste le strutture intermedie con i loro esecutivi e corpi burocratici e non le principali assemblee legislative, oggi sempre meno rilevanti nei processi di decisionalità pubblica. Nemmeno rispetto alle rappresentanze italiane nelle sedi comunitarie, nonostante la moltitudine di operatori segnalata (sulla carta), per il groviglio di competenze, di organi, di funzioni e di canali di trasmissione dalla dimensione continentale a quella locale (quella che elegantemente viene definita governance multilivello) si può vantare di aver dato vita ad una vera figura di lobbista europeo; semmai ad una sorta di analista coadiutore esterno nei processi di decison making. In più, se è vero che la parte preponderante dell’economia italiana è rappresentata da PMI, lavoro autonomo e professioni è certo che il fenomeno del lobbismo, (così come, con spirito democratico, professionalità ed etica lo si vorrebbe interpretare) da questa dimensione sia singolare che aggregativa è stato e rimane sostanzialmente estraneo. E su questi fenomeni economici ed associativi e sull’azione di questi ultimi soggetti ci sarebbe da discutere molto più a lungo e ancor più criticamente. Ciò che presso l’opinione pubblica alla fine si percepisce può esser molto più vicino alla realtà di quanto non si voglia ammettere: semplicemente quello che si evidenzia nei fatti e che viene esposto con solo apparente semplificazione. In trasparenza si scorgono le disfunzioni e sfasature macroscopiche nel rapporto tra lo stato ed "il mercato" che, ben coperte da un lessico pseudo-moderno e spesso di propaganda, fanno invece arretrare sempre di più questo paese. Tra queste, anche quello che fino ad oggi meglio potremmo definire, nostro malgrado, il lobbying all’italiana.

Maurizio Benassuti R. 10 agosto 2009


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Test di consapevolezza dell'interlocutore pubblico

Le domande da rivolgere al vostro interlocutore pubblico per sapere se almeno possa comprendere di che state parlando.


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quali sono le dimensioni tipiche di un’azienda locale ?

dipendenti -> 5 - 10 - 20 - 40 - 100 - 300 - non so

fatturato -> 1 m.e. - 5 m.e - 10 m.e. - 50 m.e - oltre 100 m.e - non so
(m.e.: milioni di eruro)


quali sono i settori più rappresentati ?

- manifatture per mercato finale
- manifatture per terzi
- prodotti tecnologici
- servizi
- edilizia
- ambiente
- ricerca
- non so

(indicare da 1 a 7 la sequenza)


quali sono i principali distretti industriali dell’area ?

quali sono i principali sistemi locali del lavoro ?


cos’è un patto territoriale ?

a) un piano urbanistico per la regolazione del territorio
b) un accordo delle associazioni di categoria di una determinata area
c) un accordo tra enti locali ed imprese per realizzare infrastrutture
d) un accordo tra enti locali e imprese per lo sviluppo economico
e) non so


quante sono le associazioni che rappresentano gli imprenditori locali ?

-> 3 - 5 - 10 - 20
-> non so


quali sono le principali associazioni di categoria che rappresentano le imprese locali ?
(in base al n. di iscritti che si ritiene ciascuna di esse abbia)

-> non so


queste associazioni di categoria quali collegamenti hanno tra di esse ?

- conoscenze personali
- uffici studi
- tavoli periodici di confronto
- partecipazione ad iniziative comuni
- adesione comune ad altre organizzazioni
- rapporti di natura etico-religiosa
- non so


nel corso di un anno in quante occasioni lei incontra un rappresentante di una impresa o di una associazione di categoria ?

-> 1 - 5 - 10 - 20
-> mai


quanti ritiene possano essere nell’area di riferimento gli imprenditori che ricoprono cariche pubbliche o che sono presenti in organismi dirigenti di imprese pubbliche ?

-> 5 - 10 - 20 - 50
-> non so


quali sono le fonti attraverso le quali lei acquisisce informazioni sull’economia locale ?

- contatti diretti con imprese
- camera di commercio
- studi e ricerche di organismi specializzati
- giornali
- web
- televisione
- varie


quanto ritiene che possa essere importante l’azione politica per lo sviluppo delle attività economiche locali ?

- poco
- abbastanza
- molto
- moltissimo
- non so


in quali occasioni l’azione politica per il sostegno dell’economia locale si rende più rilevante ?

- finanziaria dello stato
- finanziaria regionale
- bilancio provinciale
- bilancio comunale
- disposizioni fiscali
- predisposizione infrastrutture
- disposizioni sul costo del lavoro
- incentivi diretti
- attività di rappresentanza estera
- fiere nazionali
- normativa urbanistica – ambientale
- non so

(indicare da 1 a 11 la sequenza)


ritiene che i servizi alle iniziative imprenditoriali siano compito

- dello stato
- delle regioni
- degli enti locali
- delle camere di commercio
- delle associazioni di categoria
- delle banche

(indicare da 1 a 6 la sequenza)


qual è lo strumento più rilevante d’intervento delle istituzioni nell’economia locale ?

- finanziamento
- defiscalizzazione
- servizi
- partecipazione a quote di capitale
- garanzie per crediti
- fornitura di tecnologie e di ricerca
- sostegno al lavoro
- semplificazione pratiche e procedure
- non so


ritiene che l’impegno delle imprese nel campo sociale e nel comprensorio di appartenenza sia

- assente
- inadeguato
- sufficiente
- buono
- rilevante
- non so


mbr ©
maggio/2009

Lobbies all'italiana (di Michele Ainis)

Le lobby (leggasi: associazioni) ?
Così chiuse da discriminare (persino) i soci.
L’associazionismo è una libertà fondamentale per i singoli e una risorsa per tutta la società.
Ma spesso alcuni corpi associativi virano in lobby in cui la lealtà di gruppo prevale sull’interesse generale.
Servono nuove regole, la prima da rispettare è la trasparenza.
L’associazionismo è una risorsa, per i singoli e per la società nel suo complesso. E anche una libertà fondamentale, protetta dalla costituzione italiana del 1948 non meno che dalla carta dei diritti dell’unione europea del 2000. Ma alle nostre latitudini ha via via contratto un’infezione che trasforma le associazioni in altrettanti corpi separati, impermeabili allo stato di diritto.
E tali corpi associativi (86mila, secondo il rapporto di Cittadinanzattiva e Fondaca, presentato nel 2008) spesso virano in lobby, dove la lealtà di gruppo prevale sull’interesse generale.
Sicché ormai è quasi impossibile ottenere un posto pubblico o privato, una promozione, una medaglia al merito se non fai parte della cordata giusta.
Lasciando a mani nude il non socio, il non iscritto.
Frustrando la libertà di non associarsi, che oltretutto viene quotidianamente contraddetta dalla pioggia di provvedimenti legislativi di favore verso questa o quella associazione.
In conclusione, mettendo un bavaglio a chiunque canti fuori dal coro, dal magistrato che non milita in alcuna corrente giudiziaria all’operaio non sindacalizzato.
Questo strapotere dei gruppi a danno dei singoli individui rinvigorisce a sua volta la vecchia avversione dello stato liberale per i legami associativi, ne rispolvera tutte le ragioni. Non si tratta, ovviamente, di vietare le corporazioni, come fece il 14 giugno 1791 la legge Le Chapelier. Basterebbe vietare soprusi e prepotenze.
Un solo esempio, fra i molti che potrebbero elencarsi.
Vale il principio di non discriminazione all’interno dei gruppi associativi?
Dovrebbe. Eppure abbiamo atteso il 1989 prima che una donna fosse accolta come socia di un Rotary Club. Un beneficio tuttora negato all’interno della massoneria così come nello storico Circolo dell’unione, a Milano. Tanto che nel 1999 il senatore Russo Spena presentò un’interrogazione, chiedendo conto del medesimo divieto applicato al Circolo canottieri Aniene di Roma: il ministro di turno (Laura Balbo) gli rispose picche.
Serve insomma la corazza del diritto per proteggere i soldati semplici di queste armate associative, quantomeno in rapporto ai procedimenti di ammissione o di esclusione dei soci;
ma la strada è impervia, anche perché in giurisprudenza la libertà della associazione per lo più prevale sulla libertà nella associazione, sulla tutela dei singoli associati.
Si dirà che a casa propria ciascuno fa come gli pare.
Vero, tuttavia c’è pur sempre un regolamento di condominio per gli affari comuni.
E allora applichiamolo pure alle associazioni, demolendo il potere di veto dei gruppi dirigenti.
Lo statuto ne stabilisca i fini, e stabilisca inoltre i requisiti per venire ammessi; se ne sei in possesso entri, anche se la tua faccia non piace ai vecchi soci.
Così, riusciremo forse a immettervi una ventata di aria fresca, e comunque riusciremo a rompere dighe e steccati fra le associazioni e il mondo esterno.
È nel buio di di stanze troppo sigillate, troppo nascoste agli sguardi altrui, che si consumano gli illeciti peggiori. La prima regola da mettere nero su bianco si chiama trasparenza.
Nel 1925 una legge (la 2029) prescrisse un obbligo di pubblicità per ogni associazione, imponendo di comunicare l’elenco nominativo dei soci e delle cariche sociali all’autorità di polizia.
Era una legge fascista, che non rappresenta certo un modello da emulare. Ma possiamo girare l’informazione verso la società civile, anziché verso l’apparato autoritario.
Possiamo mettere sul web gli iscritti a ogni associazione, come ha fatto il ministro Brunetta, nel giugno2008, per i consulenti delle amministrazioni pubbliche. Dopotutto si tratterebbe di restituire fiato e gambe a un principio costituzionale, quello che vieta le associazioni segrete.
Nel 1982 la legge Anselmi, sciogliendo la Loggia P2, ne fece una prima applicazione. Ma non basta, l’esperienza sta lì a dimostrarlo. Anche perché rendendo noti al pubblico i compagni di cordata si possono finalmente sparigliare le cordate. Magari aggiungendoci qualche proibizione, se è utile alla causa. Quale? Eccone un esempio: l’articolo 51 del codice di procedura civile stabilisce l’incompatibilità del giudice, quando lui stesso o il coniuge sia parente fino al quarto grado con una delle parti sottoposte al suo verdetto. La medesima incompatibilità fra commissari e candidati vale nei concorsi pubblici.
E perché mai non puoi giudicare un tuo lontano cugino, mentre puoi farlo con il socio che vedi tutti i giorni, con cui ti scambi strizzatine d’occhio dietro il vetro degli occhiali? Perché mai puoi nominarlo direttore, affidargli appalti, appuntargli sul petto un distintivo? Estendiamo l’incompatibilità pure a queste situazioni, e non pensiamoci più sopra.

Michele Ainis

(Fonte: Il Sole 24 Ore del 29 luglio 2009)
http://www.selpress.com/confindustriatoscana/immagini/290709S/2009072930797.pdf


Analogie


Interessante rilevare che i partiti, nonostante l'esplicazione da parte di essi di notevoli "funzioni" pubbliche, nell'assetto costituzionale italiano sono ancora considerati associazioni non riconosciute.
Ai partiti politici non è stata infatti riconosciuta "personalità giuridica", ed essi sono di conseguenza considerati delle "associazioni di fatto" secondo gli articoli 36 e 38 del codice civile.


Lettera a un lobbista

Caro M.M.,
riguardo alla (molto eventuale) definizione legale dell’attività lobbistica nel nostro Paese sono d'accordo, ci si dovrebbe collegare alle esperienze ed alle realtà istituzionali che, almeno teoricamente, si dimostrano più evolute, valutarne i limiti per non commettere gli errori evidenziati, coglierne gli aspetti più positivi.
In realtà conosciamo i motivi dell’impossibilità di arrivare fino ad oggi ad una qualsiasi sorta di regolamentazione, sembrerebbe tuttavia di essere arrivati alla “resa dei conti”.
Se si volesse realmente salvare questo paese dalla bancarotta (il fallimento politico ed economico è già stato dichiarato anche se non pubblicato) non ci si potrebbe più sottrarre alla necessità quantomeno di rilanciare una dimensione più etica della politica e dell'economia nonché del sistema di relazioni e rapporti fra di esse esistenti.
Ma tutto questo non si farà.
Anzi, si nota sul versante politico una forsennata ostinazione a salvaguardare i più bassi interessi di casta, di ogni tipo di casta coinvolta, e su quello imprenditoriale una strenua resistenza delle corporazioni ad accettare l'idea per sé stesse e per i propri aderenti di una ricerca di trasparenza e un'autodisciplina nei rapporti istituzionali e persino nel rispetto delle regole di mercato (che è tutto dire).
Quanto alla spesso dimenticata ma sempre più potente dirigenza pubblica è facile verificare come sia costantemente inosservante delle linee guida anche di natura etica che in tante occasioni sotto forma di direttive, circolari, ecc. sono state, con un bel tasso di ipocrisia, emanate.
Forse qualche bella presa di posizione o sanzione e qualche significativo esempio non guasterebbero - e non sto parlando di condanne di ordine penale, non fa piacere a nessuno vedere la gente dietro le sbarre - basterebbe la decisa, definitiva esclusione dal “circolo”.
Ma il circolo esclude le esclusioni: ".. magari poi qualcuno si mette a parlare".
Ora si affaccia un ulteriore problema di cui cominciamo a trovare (timida) traccia nelle cronache.
In termini democratici ed in ordine alla politica istituzionale prevalente, vale a dire il c.d. federalismo, riguardo alle situazioni di cui stiamo parlando male si qualificano proprio le c.d. “autonomie locali” che per una supposta esigenza di governabilità, nelle sempre più esclusive prerogative dei governatorati regionali o municipali, in assenza di contrappesi, sembrano sempre di più feudi affaristici in cui l’ordinamento ed il principio di legalità risultano cose di altri tempi.
Altro che sussidiarietà e regolamentazione.

Maurizio Benassuti R.

20 luglio 2009

Sistemi bloccati

L’esistenza di istituzioni o di regole formalmente democratiche non è sempre di per sé garanzia del mantenimento di condizioni di vita liberali e democratiche, tantomeno del progresso politico economico e sociale di una comunità. La garanzia giuridica di alcuni diritti, le c.d. libertà, le facoltà degli individui, in assenza di alcune basilari condizioni sociali e politiche, non hanno alcuna concretezza. Così pare proprio che stia accadendo in molti "municipi" e comunità italiane, più ancora in quelle che vengono elevate ad esempio e definite ricche e “moderne”. Il sistema elettorale per l’elezione diretta del sindaco, chiaramente di tipo presidenziale, in assenza di contrappesi istituzionali, controlli pubblici e sociali, una opposizione degna di questo nome, una presenza consapevole della dimensione partecipativa civica, non garantisce la democraticità del luogo, meno ancora la contemporaneità del sistema locale. Se a questo fatto si aggiunge il peso sociale di organizzazioni di ambito più o meno confessionale, dotate di mezzi economici rilevantissimi - gli unici con apparati di socializzazione e formazione politica e di organismi operanti in ogni ambito dei servizi e del no profit - tende a scomparire qualsiasi forma di pluralismo culturale e politico. Il gioco maggioranza-opposizione, pubblico-privato viene appiattito già in sede elettorale - unico momento possibile per la scelta - sia nei programmi che nella composizione delle liste dall'esigenza di rispetto di alcune trasversali ed intangibili categorie pre-politiche, di consuetudini e tradizioni culturali che hanno molto a che fare con radicate ideologie, aspetti religiosi, eredità immeritate derivanti dallo strapotere di alcuni gruppi familiari e molto poco invece con le reali condizioni evolutive di una società. Se poi le associazioni categoriali presenti, anziché dare corpo alle legittime esigenze delle imprese associate - spesso comunità di lavoro di piccolissime dimensioni - si occupano prevalentemente del successo personale e della visibilità dei loro dirigenti, magari per scalare le posizioni direttive di enti economici, articolazioni ministeriali o amministrazioni pubbliche locali, in un accordo sempre troppo stretto e troppo poco trasparente con i vertici istituzionali, non si mantengono le condizioni di mercato e cessa la dialettica dell’articolazione libera degli interessi. Se la finanza speculativa e non trasparente continua a prevalere sul lavoro e sul giusto profitto dell’intrapresa, di chi con coraggio ed indipendenza continua a sfidare le sempre peggiori congiunture, si impoverisce il tessuto economico, la creatività e la capacità manifatturiera, da sempre unico vero punto di forza delle nostre realtà produttive. Se gli ordini professionali, così come le università, diventano scatole chiuse e privilegiate in cui, a prescindere dal merito e dalle reali competenze, trovano accesso e quindi protezione economica e legale solo eredi, parenti ed amici, si perde la qualità delle prestazioni e della ricerca. Se, infine, le comunicazioni, quelle che contano, vedono un soggetto costantemente mantenuto e garantito in una posizione dominante, o, peggio, monopolistica, con una proprietà della testata concentrata negli stessi gruppi e famiglie che esprimono al contempo anche rappresentanza politica ed economica, non c’è più informazione: solo manipolazione e propaganda. Questa che oggi così si presenta non solo è una società scarsamente democratica e illiberale, ma è ancor peggio un sistema bloccato, chiuso in sé stesso, privo di sbocchi, destinato al più rapido declino.

Maurizio Benassuti R. 5 agosto 2009