martedì 20 ottobre 2009

Analizzare e disciplinare il lobbying italiano

Meglio usare maggiore inferenza. Si era detto (in un precedente articolo) come in quell’ambiente o, se si preferisce, sotto-sistema che in termini professionali, scientifici, istituzionali si occupa della dinamica della rappresentanza di interessi presso decisori pubblici si sia formato un lessico, una specie di linguaggio d’insieme derivante da una certa acquisita consapevolezza di alcuni stabili contorni di questa attività. Si potrebbe descrivere questo processo anche come il paradigma che tiene insieme soggetti, riflessioni, apporti scientifici, comportamenti, azioni professionali, infine proposte di legge. Ora il problema che si pone, tanto al ricercatore quanto a chi intenda operare professionalmente in questo campo, è comprendere quanto questo paradigma sia adeguato, corrispondente alla realtà dei fatti e, cosa più rilevante, ad una visione realistica ma al contempo dinamica ed evolutiva del fenomeno. In altre parole ci si deve chiedere se quelle che stanno diventando “normali” teorie e descrizioni di prassi riescano a centrare e mettere in chiaro le dinamiche di relazione tra il mondo degli interessi privati ed il decisore pubblico, se siano ben collegate ad una “onesta” ricerca sui fatti e sulle modalità dei rapporti, o non rispondano invece ad esigenze e motivazioni più “formali e personali” della comunità in questione. C’e da decidere: meglio le conformità scientifiche e professionali, quindi l’istituzionalizzazione delle figure e dei ruoli, e le prescrizioni; oppure rilevare “come vanno veramente le cose” con un’impostazione più pragmatica, una visione aperta del fenomeno, ed una interpretazione più “densa” ? La domanda assume tanto più rilievo nel momento in cui si cerca da più parti di definire sostanzialmente e giuridicamente la figura del lobbista italiano e si vogliono porre parametri formativi, di azione e di relazione per questa attività. Si deve quindi dare per scontato ciò che fino ad oggi è maturato in letteratura o si deve cercare di “disorganizzare” questa rete concettuale e guardare il tutto da una diversa angolazione o, meglio, con diverso metodo e maggiore inferenza ? Senza voler allargare il discorso agli aspetti strutturali del sistema italiano (peraltro non poco incidenti) ed alla questione di fondo che nel nostro paese resta come in nessun altro aperta, e che potremmo definire per questi aspetti di democrazia partecipativa e deliberativa, dovremmo iniziare con il mettere in diversa luce, in qualche modo sfatare, alcuni elementi dati per acquisiti. Il fatto è che il lobbying italiano allo stato delle cose è indisciplinato e probabilmente indisciplinabile, almeno nel modo verticale, semplificato e non molto originale che oggi da qualcuno ci viene proposto. Per iniziare, poco sappiamo sulla consistenza quantitativa e qualitativa del fenomeno che resta nei suoi aspetti sostanziali “sotterraneo”. Se si eccettua la continua, ormai stressante, citazione delle pmi, la storia economica italiana lascia pochi dubbi sul fatto che vi siano stati o che vi siano oggi in termini distinti i due essenziali lati del rapporto, quello privato e quello pubblico. E poi, esistono dei problemi oggettivamente focalizzati e delle soluzioni negoziabili, o non assistiamo invece ad una politica “assorbitutto” che metabolizza uomini ed interessi, facendo scomparire al suo interno le diverse issues ? E in questa “politica assoluta” resta qualche spazio per l’affermazione pluralistica dei bisogni, degli interessi e per l’espressione delle politiche che dovrebbero farvi fronte ? In altre parole esiste ed è mai esistito nel nostro Paese quello che può essere definito l’aspetto “orizzontale” della politica nel quale, come unico terreno possibile, la moderna rappresentanza di interessi si dovrebbe collocare ed esprimere ?


Maurizio Benassuti R. 20 ottobre 2009


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