venerdì 29 aprile 2011

Lobbying: quando gli interessi sono in conflitto

Ci sono delle condizioni basiche oltre le quali l’azione di pressione verso un decisore pubblico, presenta discutibili aspetti, sia di natura legale sia sotto il profilo del merito ed etico.
Quali sono queste condizioni ?
Ve ne sono diverse, ma quelle su cui vogliamo immediatamente soffermarci, le principali, consistono nella compatibilità dell’interesse “portato” rispetto a quello generale e nella separazione formale e sostanziale, quindi nella garanzia di indipendenza reciproca dei due fronti della relazione, che non a caso viene denominata “istituzionale” e non soltanto “pubblica”.
Riguardo al primo aspetto citato possiamo dire che un'attività di lobbying svolta per l’affermazione di interessi privati in netto contrasto con quelli della comunità, non collettivamente sostenibili, e fatti valere da una posizione ingiustificatamente privilegiata di accesso e di ascolto non sarebbe compatibile con i principi dell'ordinamento democratico, eticamente inopportuna [1] e, in date circostanze, sostanzialmente illegale.
Osservando la sequenza dal lato istituzionale non si possono che mettere in evidenza i vincoli legali ed etici che dovrebbe avere l’agire pubblico; vincoli di varia natura che in queste dinamiche, più che in ogni altra circostanza, dovrebbero opportunamente integrarsi [2]. In un processo di decision making, improntato non solo alla legittimità ma anche all’opportunità-adeguatezza dello stesso e degli atti che da esso possano scaturire, non si dovrebbe prescindere da un onere di preventiva informazione sui temi posti all’ordine del giorno ai soggetti potenzialmente interessati e soprattutto dalla garanzia rivolta agli stessi di una conseguente paritaria possibilità di accesso ed espressione. Ancora: nella deliberazione finale, adeguatamente motivata, non dovrebbe mancare l’implicita ed equilibrata valutazione delle diverse argomentazioni e posizioni espresse. Solo in questo modo la decisione, anche se relativa ad una singolare istanza di ordine sociale o economico ed anche se molto specifica nel suo contenuto, potrà dirsi formalmente e sostanzialmente adottata nell’interesse pubblico e legittima. L’espressione usata è “decisione” e non semplice atto in quanto potrebbe trattarsi di un’articolazione di provvedimenti e comportamenti, una complessa politica composta da aspetti formali e informali; in ogni modo i termini non cambierebbero, la “griglia” etica e legale dovrebbe essere rispettata.
Questo modello aureo, sulla descrizione e sulla necessità del quale la letteratura si è profusa, nella realtà dei fatti e in una moltitudine di casi, sa di (molto) ottimistica proiezione. Al contrario di quanto si auspica in termini di trasparente contrattualizzazione dei contenuti spesso si hanno decisioni ancora più che deboli nel merito e discutibili nelle forme, disequilibrate ed in realtà aprioristicamente tendenti verso un solo lato tra quelli, sempre sostanzialmente privati [3] in rilievo o concorrenza; dunque scelte tendenti a produrre situazioni nelle quali alcuni soggetti ed alcuni interessi individuali o collettivi non per ragioni di qualità, compatibilità pubblica dell’istanza e della partecipazione risultano infondatamente privilegiati. Ed allora rispetto all’intero quadro dell’attività politica e così ancora più sensibilmente rispetto a quello della relazione pubblico-privato si rinviene ciò che potremmo definire in termini estesi ma qui ora ben tangibili e focalizzati un confitto di interessi [4], ovvero una preferenza disequilibrata di interessi.
“Arbitri che diventano giocatori e giocatori che mettono i panni da arbitri “: così, semplificando, si è descritta efficacemente la situazione. In realtà si tratta di un “nodo bloccante” che incide pesantemente sui rapporti tra Stato, organismi intermedi e sotto-sistemi e, come da più parti si è rilevato, costituisce un problema centrale dell’ordine democratico, non solo etico e non solo organizzativo.
Venendo al tema specifico che qui interessa, vale a dire quello delle relazioni istituzionali, tali come non da ora tacitamente ma diffusamente si sono sviluppate nel nostro Paese, con la moltitudine di conflitti di interesse che in esse si sono prodotti e che continuano a manifestarsi, si osserva che due sono i fenomeni di carattere disfunzionale che sopra ogni altro si sono evidenziati [5] e continuano inalterate a manifestarsi, dando luogo all’enunciato conflitto: l’occupazione di ruoli istituzionali da parte di soggetti riferibili direttamente o indirettamente a gruppi di interesse (incompatibilità) e quella non meno incidente della “porta girevole”.
Nel primo caso accade che il rapporto di subordinazione di un movimento politico, o più probabilmente di una componente locale di questo, rispetto ad un gruppo di interesse ben organizzato e finanziariamente dotato porti, prima ad una sovrapposizione delle leadership ed in seconda battuta all’occupazione o meglio all’”acquisto” di ruoli di vertice nelle istituzioni territoriali o pubblico-economiche da parte delle stesse persone o loro mandatari. L’artificio e ciò che di negativo ne consegue, sia per la comunità, sia per l’istituzione coinvolta è implicito e del tutto evidente. Non vi sarà alcuna possibilità in questi casi che issues potenzialmente in conflitto con gli interessi del gruppo che colonizza e praticamente acquista l’apparato pubblico possano emergere: ogni forma di accesso a possibili competitori sarà nei fatti negata . Si avrà in questi casi una “cattura della regolamentazione[6] ed un sostanziale fallimento della missione fondamentale insita nei poteri di governo, qualunque sia la dimensione territoriale verso la quale si debbano esprimere. Il danno per la società e l’economia in cui si sviluppano tali pratiche può risultare davvero notevole, in ambito produttivo e non solo. Non è escluso che in conseguenza di alcune faziose politiche economiche per le imprese o i gruppi svantaggiati (sia nazionali che esteri) si possa arrivare persino ad un esodo delle iniziative verso “territori” in ogni senso più aperti ed agibili, con le conseguenze per il sistema che sono facili da immaginare.
Nel secondo caso, in assenza di generali, chiari e determinanti divieti legali [7], non è infrequente che chi ha occupato posizioni politiche elettive o chi ha avuto ruoli dirigenziali in istituzioni pubbliche sia territoriali che funzionali, cessato o abbandonato l’incarico pubblico, sia esso di carattere politico che amministrativo, possa riuscire a spostarsi con relativa facilità nel settore economico privato per rappresentare interessi particolari, senza incontrare ostacoli e senza far intercorrere un adeguato lasso di tempo (post employment restictions). Analogamente allo stato della legislazione non vi è alcun specifico impedimento legale a rappresentare presso le strutture pubbliche interessi particolari per i familiari o i soci di coloro che si trovano ad essere in quel dato momento gli interlocutori istituzionali nella trattazione di politiche pubbliche attinenti gli specifici, “particolari” interessi supportati. In tutti questi modi oltre alla generica lesione dell’interesse pubblico, è possibile acquisire un privilegio ingiustificato nei confronti di altri operatori mettendo a frutto la comoda, utilissima, sovrapposizione di ruoli, i collegamenti personali o le esclusive competenze in precedenza acquisite (a spese del contribuente).
Lo sviluppo più o meno subdolo di entrambi questi fenomeni, cosa facile da focalizzare, falsa ogni possibile regola democratica ed economica a vantaggio di chi dispone delle maggiori risorse di “penetrazione” e può arrivare, nelle ipotesi più eclatanti, a modificare nella sostanza la forma di governo (sia nazionale che locale) e persino la forma dello Stato. Vero è che queste pratiche scorrette, rispetto ad un equilibrio democratico degli interessi, non hanno confini geografici e politici e che non esistono misure perfette che le possano limitare [8], ma si può anche rilevare che in diverse realtà istituzionali hanno trovato espressione ed applicazione differenti soluzioni, diversamente incidenti; infine che quelle di cui disponiamo per la realtà italiana sono scarsamente operative, anzi nulle, tanto sul piano enunciativo che applicativo, sia dal punto di vista delle iniziative pubbliche che private. In altre parole nel nostro sistema i portatori di interesse che intendessero agire nei confronti del complesso politico-istituzionale in un quadro di trasparenza e piena legalità e che per i motivi sopra detti si trovassero a dover subire strane commistioni di ruoli o il “caricamento” di oneri impropri, con il conseguente pregiudizio, allo stato della legislazione e delle prassi, non disporrebbero di facili vie d’uscita e tanto meno di un incoraggiante quadro di tutele, tanto sul versante giuridico-formale che fattuale.
Possiamo concludere con l’affermazione che le relazioni istituzionali nel nostro Paese continuano ad essere per l’appunto “onerose”, ugualmente, per chi voglia porle in essere secondo il più tipico e discutibile “modello italiano” e per chi invece voglia far valere una posizione indipendente, autonoma e di pieno diritto.
Maurizio Benassuti
[1] Sull’etica pubblica e nell’azione di lobbying vedi anche: B.G. Mattarella, Le regole dell'onestà, Il Mulino 2007; Interessi organizzati, lobbying e decisione pubblica di Enrico Carloni in F. Merloni, R. Cavallo Perin, Al servizio della Nazione, Milano, Franco Angeli, 2009
[2] Esemplificando: artt. 54, 97, 98 Cost.; Legge 241/90; decreto Min. Dip.Funz. Pubbl. 28/11/2000
[3] Anche se trattasi di gruppi "istituzionali", in apparenza pubblici, in realtà in concorrenza
[4] Per una definizione: OECD Guidelines for Managing Conflict of Interest in the Public Service (http://acts.oecd.org/Instruments/ShowInstrumentView.aspx?InstrumentID=130&Lang=en&Book=False)
[5] Altre ve ne sono. Ad esempio l’incompatibilità d’affari dell’agente pubblico o del rappresentante di interessi in una determinata specifica circostanza per l’oggetto trattato, circostanza che dovrebbe determinare un'applicazione del dovere di “astensione”; si sottolinea, per entrambe le parti coinvolte, per quella pubblica derivante dalla legge, per il privato derivante da un fondamentale principio etico.
[6] “Regulatory capture”; gli esiti vengono definiti come fallimento etico e legale della governance pubblica
[7] Eccezione fatta per la disposizione di carattere generale ma in un ambito regionale contenuta nell’art. 4 l. reg. Regione Abruzzo 14/12/2010 n. 61 e salvo inefficaci previsioni specifiche per limitate categorie di soggetti con incarico pubblico onorario o professionale. Vedi: art. 6 legge n. 60 del 1953 ; art. 2 c. 4 legge 20/07/2004 n. 15; art. 2 c.9 legge 14/11/1995 n. 481; art. 4 c. 3 D. lgs.12/02/1993 n.39.
[8]es: USA "Revolving Door" Restrictions on Federal Employees Becoming Lobbyists (http://www.lobbyinginfo.org/laws/page.cfm?pageid=19); UK Revolving Doors in the UK Defence Industry ( http://www.againstcorruption.org/BriefingsItem.asp?id=13093 )

Creative Commons LicenseLobbying: quando gli interessi sono in conflitto by Maurizio Benassuti is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.5 Italy License. Based on a work at mbr-relist.blogspot.com. Permissions beyond the scope of this license may be available at http://mbrverona.blogspot.com/.

martedì 5 aprile 2011

Relazioni istituzonali e processi federalisti




Perché lo sviluppo delle relazioni istituzionali nel territorio.


La storia degli stati di lunga tradizione federale e presidenziale ci insegna che in un contesto così caratterizzato all’interno di queste strutture politiche e di governo basate su principi autonomistici le regole di confronto con i diversi gruppi sociali ed economici sono un aspetto centrale dell’architettura e della prassi istituzionale sia dello stato federale che dei singoli stati. Ciò accade non solo per ragioni di assetto e statica politica, ma perché si cerca di rafforzare nei diversi livelli la capacità di analisi pubblica dei problemi, la qualità e la sostenibilità della decisione e della legislazione, quindi la competitività delle entità autonome e dell’intero sistema. C’è dunque, almeno storicamente, una costituente ricerca di equilibrio ed un preciso nesso tra federalismo e compiuta rappresentanza di interessi. Si è riscontrata invero anche la tendenza di ogni ordinamento federale a migliorare nel tempo la legislazione sulla trasparenza e sulla riduzione dei conflitti di interesse in questo tipo di rapporti. In ogni caso il dato costante da cui si sono prese le mosse in presenza di forti comunità autonome è sempre stato quello di una considerazione molto (più) pratica e concreta nella definizione dell’ “interesse pubblico”.


Così pure nel nostro Paese, nella direzione di una rafforzata autonomia locale, oggi più che mai, agire nell’interesse generale, seguendo pure al meglio il dettato costituzionale e quindi il vincolo imperativo della funzione pubblica, non significa agire in astratto, con formalismo e distacco e al di sopra degli interessi particolari provenienti dal territorio. Proprio gli assetti statutari-federalisti che nel titolo quinto della Carta costituzionale trovano fondamento impongono di accogliere (leggasi: accesso) con trasparenza (leggasi: informazione) ed imparzialità la partecipazione informata e, se possibile, esperta delle rappresentanze economiche e sociali, valutarne i portati, coordinare le diverse istanze ed espressioni, infine produrre politiche di sintesi, economiche ed efficaci, di riscontrabile e positivo impatto. Ogni decisione pubblica, si concretizzi anche in atti sub-legislativi o in provvedimenti amministrativi espressi in sede locale, non può che essere espressione di quella focalizzata volontà generale di cui l’ente territoriale è istituzionalizzata espressione, quindi traduzione politica e giuridica di una realtà risalente, portato della specificità degli elementi sociali ed economici, nonché delle istanze e delle pressioni proprie del substrato reale da cui è tratta. Inoltre appare sempre più evidente che nell’aumentata complessità dei sistemi, anche locali, la decisione pubblica, o meglio il procedimento decisionale pubblico, necessita di conoscenze e nozioni che non sempre appartengono all’ambito burocratico e ancora di meno al personale politico, vale a dire a coloro che nell’insieme dovrebbero provvedere materialmente ad elaborare gli atti (Rif. P. Torretta). Si osserva, anche in riferimento a fenomeni che possono lambire o toccare la sfera penale, che le operazioni di decentramento comportano rischi di varia natura, non solo organizzativi, poiché non è detto che a queste si accompagni una ricostruzione sul piano locale dei controlli e delle professionalità che agivano in precedenza ad un livello istituzionale più elevato nelle funzioni di governo e gestione (Rif. B.G. Mattarella).


Non risulta estraneo a questo ragionamento il principio di sussidiarietà, ben esplicitato dall’art. 118 della Costituzione, inteso sia in senso verticale o della prossimità dei centri di decisionalità, sia in senso orizzontale, riferito alla capacità organizzativa e di rappresentanza dei corpi intermedi, tra i quali spiccano i gruppi portatori di interessi particolari. Analogamente - espressi non a caso dalla stessa disposizione costituzionale - trovano riscontro i principi di differenziazione e di adeguatezza che, attualizzati da diverse recenti normative (ess.: AIR e nuovo CAD) impongono una riorganizzazione persino tecnologica dei canali e degli strumenti di relazione con le rappresentanze sociali ed economiche locali. Tutto questo, risulta evidente, non riguarda quindi soltanto le garanzie ed i percorsi di democrazia partecipativa e deliberativa, ma ha a che fare in modo diretto, decisamente incidente, sulla qualità della decisone pubblica e sulla efficacia puntuale (procedimento) e complessiva (indirizzo) dell’amministrazione.


Non si può prescindere del resto dalla precisa consapevolezza delle nuove super-statali regole del gioco che la modernizzazione forzata delle nostre democrazie liberali ( ..pluraliste ?) ed industriali impone; e questa necessità si rende ancora più impellente ed evidenziata dall’impronta federalista che gli stati, compreso il nostro, intendono darsi, nonché dall’internazionalizzazione degli organismi pubblici, in particolare di quelli di governo dell’economia. Le unioni di stati (UE) e le strutture federali interne spingono per una governance del tessuto sociale ed economico a più livelli, che già oggi trova riscontro, e che tutti i giorni sperimentiamo. In questo contesto - è stato più volte detto - una sola strada risulta percorribile nel porre normative e politiche di sviluppo sempre più complesse: quella del costante confronto e della cooperazione di tutti i soggetti politici, nei diversi livelli territoriali, con i differenziati corpi sociali ed i gruppi legittimamente ed apertamente portatori di interessi particolari.


Per l’attuale realtà italiana esistono poi ragioni politiche e strutturali di fondo che consigliano uno sviluppo fattuale e formale delle relazioni istituzionali nelle sedi regionali e municipali, ragioni legate all’affermazione delle forme presidenzialiste e di governatorato collegate spesso ad uno strapotere delle leadership della maggioranza locale. Le forme verticali di governo locale, che in questa attuale dinamica federalista si vanno sempre più a connotare, hanno ulteriormente depotenziato le funzioni operative classiche dei partiti, delle assemblee istituzionali e per molti aspetti anche quelle dell’apparato servente e richiedono quindi la presenza qualificata ed esperta nel processo decisionale pubblico delle rappresentanze economiche e dei diversi vissuti sociali: prima di tutto per il mantenimento delle condizioni democratiche e direttamente per la competitività culturale ed economica del sistema che esse presiedono. La rappresentazione e l’espressione organizzata di interessi particolari, siano essi in coordinamento che in contrapposizione, si manifesta come un fondamentale antidoto nei confronti della possibile concentrazione del potere, e quindi non solo diventa rilevante l’organizzazione e l’efficienza delle rappresentanze, ma anche il lavoro compiuto per stabilire e garantire le interne regole del gioco, vale a dire le modalità del concorso alla decisionalità pubblica da parte dei diversi portatori di interessi. In altre parole si tratta di rinnovare il collegamento tra società civile ed economica e rappresentanza politica, ri-bilanciare il rapporto tra vertice dell’amministrazione ed organo di indirizzo come sede di ascolto ed integrazione, sviluppare infine altri poteri in funzione di garanzia democratica.


Si possono aggiungere a questi rilievi, di ordine prettamente politico, ulteriori di natura economica. L’amministrazione locale di un grande capoluogo o di un’area metropolitana infatti va a presentarsi sempre di più come holding di controllo di enti di servizio e società e come tale deve agire in collegamento, interlocuzione trasparente, e capacità di trasferimento di valore rispetto ai propri stakeholders. In questo senso la governance pubblica non si potrà sottrarre più a lungo agli aggiornati sistemi di amministrazione e controllo introdotti per i gruppi privati, in primo luogo in termini di accountability, rispetto al proprio circostante ambiente ed organizzato tessuto economico e sociale.


A questo punto tuttavia è giusto osservare che i lati del rapporto sono due ed i nuovi meccanismi di relazione che dovranno affermarsi non possono che coinvolgere analogamente anche i gruppi e le rappresentanze private. Da qui la necessità per queste ultime di interrogarsi e scegliere: mantenere una relazione del tutto privata con il politico locale emergente per la trattazione dei problemi, sullo stile della vendita al dettaglio di pezzi di micro-politiche e singoli benefits, oppure pretendere l’inserimento esperto ed autorevole nei processi di decisionalità pubblica attraverso canali di accesso garantiti e trasparenti. In altre parole scegliere se accettare consapevolmente il modello plebiscitario e in esso subordinatamente sopravvivere o proporsi come soggetti attivi del sistema politico locale, pienamente legittimati ed assolutamente intenzionati a far valere e rivalutare le componenti rappresentative e gli istituti che concretamente le possono esprimere. E’ una questione di visioni e di dosaggio, e questo, per tutti, sembra essere il momento delle scelte.


Venendo infine al generale confronto politico sul federalismo in atto nel nostro Paese, agli equilibri geo-politici, alle contrapposizioni territoriali ed alle dinamiche istituzionali che sembrano dover affermarsi, per quanto qui interessa, osserviamo che per poter creare una risalente spinta democratica ed il miglioramento della qualità della politica e dell’amministrazione - visto che alla fine questo è anche l’obiettivo ultimo di ogni corretta relazione istituzionale - tra le diverse autonomie regionali e le diverse municipalità che all’interno di queste trovano spazio come fenomeno tipicamente italiano, analogamente a ciò che dovrebbe avvenire all’interno di ogni autonomia tra le componenti private in essa collocate, si dovranno individuare rispetto ai livelli istituzionali sovraordinati più adeguati canali di accesso e garanzie per la trasparenza dei processi decisionali federali e comunitari. Per il mantenimento delle condizioni pluraliste e democratiche e non ultima l’unità nazionale, gli interessi politici, economici e culturali propri delle comunità locali, rese esse stesse sistema e gruppo nella sintesi istituzionale, dovranno necessariamente trovare affermazione in un quadro relazionale ed istituzionale trasparente e paritetico.


Maurizio Benassuti



Licenza Creative Commons Relazioni istituzionali e processi federalisti by Maurizio Benassuti is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia License. Based on a work at mbr-relist.blogspot.com. Permissions beyond the scope of this license may be available at http://mbrverona.blogspot.com/.