lunedì 2 agosto 2010

Pratica e grammatica del lobbying italiano

Dato che spesso, con una tendenza semplificante, si indica come punto focale dell’azione di rappresentanza di interessi l’attività legislativa e come sede di espressione le anticamere parlamentari di vario livello, occorre mettere subito in rilievo il fatto che l’asse della decisionalità pubblica si va sempre di più spostando sugli esecutivi, sui livelli direttivi dei corpi burocratici, nonché sul management degli enti strumentali delle differenti istituzioni, non ultime, nella tendenza federalista, quelle di livello sub-statale.
Non è raro poi che si superi il livello istituzionale, ed è pure possibile che la sede non sia esattamente pubblica e nemmeno politica.
Nel nostro paese c’è la tendenza semplificante a sovrapporre concettualmente provvedimenti normativi, leggi e politiche pubbliche, ma va precisato che, salvo eccezioni, law making e policy making non coincidono né concettualmente né praticamente.
Dagli analisti più consapevoli è stato messo in rilievo che una politica pubblica non è un fenomeno oggettivo, astratto, come una legge, ma un insieme di elementi dinamici difficilmente ordinabili, tra loro eterogenei, che a volte possono lasciare spazi di intervento e negoziazione, mentre in altre si presentano chiusi e predeterminati.
Quello che è certo è che questa attività, a chiunque si imputi e qualunque sia il momento in cui essa venga a focalizzarsi, inevitabilmente comporta l'uso e l’interazione di un ventaglio di risorse e tecnologie - in primo luogo comunicazione e media - più ampio di quelle messe in funzione nell’esercizio della potestà legislativa.
L’obiettivo primario è sempre quello della concreta incidenza sul “discorso pubblico” e sul quadro generale o particolare degli interessi, più che l’espressione di una volontà in senso formale orientata ai bisogni generali e solo astrattamente prescrittiva.
Esigenze, idee, fatti, soggetti (policy networks), atti ed eventi, meglio sarebbe dire “poteri”, vanno in sequenza, raramente razionale, tutti a comporre il quadro del divenire, per nulla lineare, di una politica pubblica.
Al centro troviamo un problema di ordine sociale, più spesso economico o, possibilmente, l’interesse specifico di un soggetto o un gruppo che viene ad assumere in un determinato contesto rilevanza politica (o personale), la cui soluzione o soddisfazione viene progettata e realizzata secondo il punto di vista della “maggioranza” con strumenti sempre più spesso non limitati e non coincidenti con quelli rintracciabili in un iter legislativo.
Le metodologie vengono spostate invece su momenti negoziali, se si adottano modelli basati sulla relazione; oppure su soluzioni unilaterali, se si segue la via autoritativa o, come potrebbe accadere, autoritaria.
Si sottolinea anzi che il decisore pubblico, volendo dimostrarsi “forte, attrezzato e legittimato”, “competente ed autonomo”, tenderà a voler produrre effetti e risultati trascurando quanto più possibile il canale dei pesanti procedimenti legislativi, ricorrendo più semplicemente all’impiego di alternative risorse materiali e relazionali, principalmente di carattere extraistituzionale.
La para-legislazione di delega o d’urgenza, il ricorso ordinario alla fiducia, ed il nuovo processo di elaborazione e di approvazione della finanziaria ne sono le prove di maggior evidenza.
Se così stanno le cose, allora il problema centrale per chi rappresenta un gruppo di interessi indipendente in questo contesto sta nel definire l’equilibrio della dinamica con cui i diversi soggetti con il loro peso, le loro differenti pulsioni e prerogative possano eventualmente intervenire ed avere presenza e concorso in questo tipo di processi.
La cronaca ci mostra ogni giorno che non è affatto escluso il peggior uso di strumenti illeciti di pressione - i faccendieri italiani, buoni ultimi, scoprono ora le “3B” “broads, booze, ribes -
mentre per chi intende operare nelle “relazioni istituzionali” con strumenti legittimi e in un quadro di trasparenza non è trascurabile l’aspetto etico e procedimentale.
Il problema centrale del lobbista professionale italiano è di stabilire quale sia il modo e quali siano i mezzi (leciti) con i quali un organismo portatore di interessi, tanto diffusi quanto particolari, possa inserirsi nella sequenza decisionale, quale infine possa essere la potenzialità esprimibile e la sua "rilevanza causale".
Risorse organizzative, garanzie soggettive ed accreditamenti, standards qualitativi, aspetti pubblicitari, capacità investigative e di monitoraggio, possono così assumere notevole incidenza soprattutto per ragioni di difesa: innanzitutto per scongiurare l’eventualità, sempre possibile, di essere travolti dall’irrazionalità del sistema e delle logiche piuttosto illogiche o personalistiche che in esso si manifestano.
In realtà oggi, a prescindere dai quadri di regolamentazione e dalla singolarità - sotto ogni profilo - dei centri decisionali, l’organizzazione portatrice di interessi che tale si voglia qualificare non ha scelta, deve tentare in ogni caso di intervenire in senso propositivo nel ciclo di sviluppo
di una politica pubblica che la riguarda o colpisce o, cosa più complessa ed onerosa, nel quadro allargato delle politiche di settore dell’organismo di livello costituzionale che le predispone.
Si tratta di vedere come.

Qui, per affrontare il quadro attuale, cessa l’aspetto razionale dell’azione di lobbying ed emerge necessariamente la dimensione creativa ed artigianale dell’operatore.
Restano a disposizione i più tipici strumenti emersi e perfezionati nelle prassi nord- americane e comunitarie, sempre meglio focalizzati e commentati nella pubblicistica del settore, ma il mix d’impiego e gli adattamenti dovranno essere consoni al sistema ed allo stile tutto italiano.
Dopo aver esaminato lo stato dell’atmosfera istituzionale e pubblica, sono senz’altro possibili azioni di lobbying indiretto (es. grass – root; cyberlobbiyng ) per favorire l’inserimento di una certa tematica nell’agenda politico-istituzionale o, quantomeno, per far presente al decisore il peso di una issue o, ancora, l’utilità di una partecipazione del gruppo allo sviluppo istituzionale e pubblico della tematica.
Sarà tuttavia necessario valutare, oltre al più che invasivo e diffuso fronte dei “legami” clientelari, quale possa essere la massa critica (heads counting) da sviluppare per “esistere”, ed i relativi costi.
Si potrà manifestare l’intenzione di erogare o negare al decision-maker il consenso o il sostegno del gruppo rappresentato, ma sempre che questo sia considerato dal decisore di qualche rilievo non tanto e soltanto dal punto di vista sociale e politico.
Si potranno fornire expertise preliminari più o meno riservate, contribuendo in modo determinante alla specificazione e configurazione della soluzione di un dato problema, facendo attenzione tuttavia a non cedere inutilmente e “gratuitamente” importanti risorse di progettazione e know how.
Si potranno presentare analisi quantitative e qualitative, preventive e successive, ed ancora manifestare proiezioni per quanto concerne gli effetti ed il possibile impatto degli atti posti in essere dall’organo pubblico, sempre che questo non arrivi a mettere in discussione la supposta validità di assetti, dinamiche e scelte di fondo operate dalle leaderships; il prezzo da pagare in termini di “diaologo” sarebbe davvero pesante.
Si potrà tentare di richiedere la partecipazione agli aspetti protocollari o formali presentando istanza di audizione, accertando tuttavia che la cosa non sia considerata come un tentativo di formalizzazione conflittuale del rapporto, intollerabile nella mentalità politica italiana.
Infine si potrà avanzare la proposta di inserimento del gruppo o del singolo operatore nell’implementazione di quella politica, attraverso la domanda di affidamento di attività esecutive, la cogestione, ed altre soluzioni, ma sempre dopo aver ben valutato che il decisore abbia ritenuto l’interlocutore privato richiedente come un alleato di livello strategico, sul quale non trasferire rischi ed oneri derivanti dalle scelte compiute o dalle attività poste in essere.
Tutto davvero molto complesso, ma praticamente inevitabile.
Lo sviluppo di certi fenomeni e l’interesse per le concrete modalità di svolgimento degli stessi, della “partecipazione” e della presenza professionale nei rapporti pubblico-privato saranno, non c’è alcun dubbio, la costante delle riflessioni sui prossimi assetti del nostro sistema.
In conclusione si può dire che il lobbying nel contesto italiano attuale va, oggi più che mai, ben interpretato.
Da un lato non rinunciando a porre in essere atteggiamenti ed azioni contraddistinte dal più alto contenuto etico e tecnico possibile, quantomeno per garantire i livelli professionali e la intrinseca legalità dell’azione; dall’altro, considerati i precari assetti istituzionali ed i complessi rapporti di sistema, utilizzando quel pragmatismo che si rende necessario in una situazione instabile, spesso di emergenza ed in fase di costante revisione.






Maurizio Benassuti R. 3 agosto 2010





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