mercoledì 7 luglio 2010

2010 Affari e politica intrecci e mediatori

Il lobbying "all'italiana".


Esistono in Italia le condizioni affinché si possa sviluppare una corretta, garantita, dialettica tra i gruppi economici e sociali, la politica e le istituzioni ?


Forse ci sono situazioni e derive che impediscono che ciò possa accadere: “l’altra faccia della luna” come si dice in un recente saggio.

Forse non si è notato - o non si è voluto far notare - che il tema delle dinamiche relazionali relative alle rappresentanze di interessi potrebbe essere uno dei nodi centrali dell’evoluzione della nostra fin troppo semplificata e ridotta democrazia.

I mezzi di stampa, salvo alcuni, su questo in larga misura soprassiedono.

Quali sono allora gli elementi strutturali del nostro sistema politico che impediscono che in questo paese si possa parlare in senso proprio e moderno di “trasparenti” relazioni istituzionali ?

Non sarebbe difficile individuarli ed enunciarli .. a volerlo fare ... Ma poi a chi gioverebbe ?

Gli stessi soggetti che dovrebbero garantire il controllo sociale e la divulgazione dei temi sono disinteressati ad approfondire, quantomeno per non dare troppo disturbo agli assetti proprietari delle testate.

Dunque a che punto siamo ? Nonostante non esista un quadro ufficiale di riferimento, tantomeno una disciplina specifica - salvo un accenno organizzativo in una timida e generica legislazione regionale [Toscana 2002 - Abruzzo 2010] e in un decreto ministeriale [Min. agricoltura 2009] - e sebbene riguardo agli aspetti qualitativi e quantitativi del fenomeno lobbistico di “contatto” tra affari e politica in Italia non si abbiano dati consolidati [ora una autorevole pubblicazione qualche lume ce lo offre: Boeri, Prat, Merlo 2010] una certa abbozzata identificazione del lobbying italiano comincia a trasparire almeno sul piano scientifico con le numerose e dedicate cattedre che vanno via via sorgendo nelle principali università italiane. Auspicando che non si tratti solo dell’attribuzione cooptativa e gratuita delle solite immeritate onorificenze accademiche. Si potrebbe persino dire che, tentando di “ricopiare” - invero con poca fantasia - i contorni dall’esperienza comunitaria e nord-americana, si sta cercando di arrivare ad un decoroso livello di statuizione degli standard professionali che dovrebbero contraddistinguere questa attività anche nel nostro paese, tenendola distinta da differenti esperienze che vanno dal giornalismo parlamentare, alla consulenza politica, fino alla legistica. In questa direzione sembrerebbe svolgersi il lavoro scientifico di alcuni consulenti e docenti, la nascita e lo sviluppo di alcune agenzie, qualche disegno di legge, report su episodi della cronaca, dibattiti, confronti attraverso il web.

Alla fine, in qualche modo, si dovrebbero definire l’oggetto, il campo di azione, ed una sorta di “statuto” scientifico e professionale cui dovrebbe fare riferimento chi opera con queste prerogative.

Un aspetto preliminare su cui ci si dovrà necessariamente concentrare sarà comunque quello definitorio.

Chi potrà definirsi con legittimità lobbista o, se si preferisce, esperto di relazioni istituzionali ? Chi potrà rivendicare a sé la professionalità ed il titolo per l'esercizio di questo lavoro di "intermediazione" ?

Quali saranno le condizioni di accesso - quelle reali - alla professione che ha per oggetto la rappresentanza degli interessi organizzati presso le istituzioni pubbliche nazionali e Regionali, queste ultime sempre più rilevanti alla luce della riforma in senso federale dello Stato ?

Come si potrà escludere la costituzione di una nuova ennesima impenetrabile casta, ovvero lobby delle lobbies ?

Da ciò che di negativo e poco trasparente fino ad oggi si è visto, tre componenti dovrebbero essere fatte emergere: la competenza, o meglio le competenze; la deontologia; la non concentrazione territoriale delle sedi di lavoro.

A “monte”, mai abbastanza rimarcato, il necessario profilo di ordine etico-politico, come imprescindibile pre-requisito legale ed identitario del lobbista professionale ed in primo luogo il divieto rigido di scambio o sovrapposizione di ruoli tra mandato politico e professione.

Non va a questo proposito trascurato il fondamento costituzionale di questa già oggi legalmente possibile e praticabile attività e di quanto ne deriva in ogni aspetto: l’art.50 della Costituzione, sempre ammesso che le forze politiche a questo testo ritengano ancora oggi di dover fare riferimento.

Si tratta di una norma di principio, un enunciato di tipo valoriale, ricco di implicazioni, che introduce il discorso su tutte le possibili dinamiche di democrazia partecipativa e deliberativa: tutti i cittadini, singoli o associati "possono" rivolgersi ad una assemblea legislativa per esporre "necessità" e "chiedere provvedimenti", così recita il testo.

Come si può notare si presuppongono nella norma posizioni ben distinte, formalmente e sostanzialmente. Ora, per essere concreti, è nel significato pratico che si voglia attribuire a quel "possono" che sta il vero problema del lobbismo italiano e del rapporto tra portatori di interessi (e di bisogni) e potere politico. La questione cambia infatti - non poco - se verifichiamo la praticabilità giuridica astratta dell’azione di relazione istituzionale, di proposta informata, di richiesta di valutazione di alcune non privilegiate categorie di interessi, dalla effettiva possibilità di esercizio di questi diritti e facoltà. E ancora diversa è la questione dell’efficacia di questi “eventuali” interventi partecipativi alle fasi istruttorie e (pre)decisionali nei procedimenti legislativi o nei processi amministrativi di elaborazione delle politiche pubbliche. In altre più semplici parole ci dobbiamo chiedere se esistono quelle che abbiamo sopra definito le condizioni strutturali affinché le ordinarie rappresentanze di interessi di ambito economico o del mondo no profit, normalmente escluse dal ferreo triangolo della concertazione e da altre più oscure trame possano concretamente prima presentare, poi sostenere, infine veder considerati i propri portati nella decisionalità pubblica ?

Di fronte all’atteggiamento sempre più eticamente e legalmente spregiudicato dell’Esecutivo, dei Governatorati regionali e persino dei Sindaci da un lato e delle più pesanti lobbies nazionali ed internazionali dall’altro, pare che oggi più che mai la risposta sia di tutta evidenza e che alcune specifiche e molto ingombranti “presenze”, se si vuole “anomalie”, del nostro sistema ci mostrino quale sia allo stato delle cose questa risposta.

In qualche modo anticipando le conclusioni di una riflessione, che meriterebbe di essere fatta ed approfondita in altra sede, sembra di poter dire che l’attività di lobbying - se con questo si voglia descrivere qualcosa di legale, politicamente e civilmente etico - non abbia allo stato delle cose possibilità di esplicarsi in modo realmente trasparente, diffuso e compiuto in ambiti come quello italiano, qualunque sia il livello istituzionale toccato.

Più realistico affermare che essa potrebbe trovare luogo e sviluppo in un contesto democratico riformato, maggiormente garantito e pluralista.

Speriamo che chi ogni giorno ci parla della necessità di operare delle drastiche riforme istituzionali nel sistema italiano di tutto questo voglia tenere preciso e debito conto.


Maurizio Benassuti R. 8 luglio 2010




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