giovedì 20 agosto 2009

Le lobby solo in una democrazia garantita

Lobbisti che parlano di democrazia. Esistono in Italia le condizioni affinché si possa sviluppare una corretta, garantita, dialettica tra i gruppi sociali, la politica, le istituzioni ? Forse ci sono situazioni e derive che impediscono che ciò possa accadere: “l’altra faccia della luna” come si dice in un recente saggio. Forse non si è notato - o non si è voluto far notare - che il tema delle dinamiche relazionali relative alle rappresentanze di interessi potrebbe essere uno dei nodi centrali dell'evoluzione della nostra fin troppo semplificata e ridotta democrazia. Quali sono allora gli elementi strutturali del nostro sistema politico che impediscono che in questo paese si possa parlare in senso proprio e moderno di lobbying o di “trasparenti” relazioni istituzionali ? Non sarebbe difficile individuarli ed enunciarli .. a volerlo fare ... Ma poi a chi gioverebbe ? Nonostante ciò dobbiamo ammettere che anche se non esiste un quadro ufficiale di riferimento, tantomeno una disciplina specifica e sebbene riguardo agli aspetti qualitativi e quantitativi del fenomeno non si abbiano dati consolidati, una certa abbozzata identificazione del lobbying italiano sia stata fatta, almeno sul piano operativo. Si potrebbe persino dire che, mutuando i contorni dall’esperienza comunitaria e nord-americana, si è arrivati ad un decoroso livello di statuizione degli standard professionali che dovrebbero contraddistinguere questa attività anche nel nostro paese, tenendola distinta da esperienze professionali che vanno dal giornalismo parlamentare, alla consulenza politica, fino alla legistica. In questa direzione il lavoro scientifico di alcuni pionieri, la nascita e lo sviluppo di alcune importanti agenzie, disegni di legge, episodi della cronaca e dibattiti, un’associazione che inizia a collegare un discreto numero di operatori, confronti attraverso il web. Alla fine si sono venuti a definire l’oggetto, il campo di azione, ed una sorta di “statuto” scientifico e professionale che dovrebbe avere chi opera con queste prerogative. Un aspetto preliminare su cui ci si è dovuti necessariamente concentrare è stato inevitabilmente quello definitorio, il cui riflesso ritroviamo nei più recenti disegni di legge e nel linguaggio scientifico. Dai tratti emergono due componenti: la competenza, o meglio le competenze; la deontologia. A “monte”, non abbastanza rimarcato, il necessario profilo di ordine etico-politico, come imprescindibile pre-requisito identitario del lobbista professionale. Fondamento costituzionale del tutto può essere considerato l’art.50 della Costituzione, dunque una norma di principio, un riferimento ampio e di tipo valoriale che introduce in un certo senso il discorso sulle possibili dinamiche di democrazia deliberativa: tutti i cittadini, singoli o associati “possono” rivolgersi ad una assemblea legislativa per esporre “necessità” e chiedere provvedimenti, così recita la norma. Ora, è nel significato pratico che si voglia attribuire a quel “possono” che sta il vero problema del lobbismo italiano. La questione cambia infatti se verifichiamo la praticabilità giuridica astratta dell’azione di relazione istituzionale, di proposta informata, di richiesta di valutazione di alcune categorie di interessi, dalla effettiva possibilità di esercizio di questi diritti e facoltà. E ancor diversa è la questione dell’efficacia di questi “eventuali” interventi partecipativi alle fasi istruttorie e (pre)decisionali nei procedimenti legislativi o nei processi di elaborazione delle politiche pubbliche. In altre più semplici parole ci dobbiamo chiedere se esistono quelle che abbiamo sopra definito le condizioni strutturali affinché le ordinarie rappresentanze di interessi di ambito economico o del mondo no profit - normalmente escluse dal triangolo della concertazione - possano concretamente prima presentare, poi sostenere, infine veder considerati i propri portati nella decisionalità pubblica ? Pare che oggi più che mai la risposta sia di tutta evidenza e che alcune specifiche e molto ingombranti “presenze”, se si vuole “anomalie”, del nostro sistema ci mostrino quale sia allo stato delle cose questa risposta. In qualche modo anticipando le conclusioni di una riflessione, che meriterebbe di essere fatta ed approfondita in altra sede, sembra di poter dire che l’attività di lobbying - se questo debba essere ciò che di “dignitoso” si è venuto a definire nel discorso accademico e professionale di questi ultimi anni - non abbia possibilità di esplicarsi in modo diffuso e compiuto in ambiti come quello italiano attuale, qualunque sia il livello istituzionale toccato. Più realistico affermare che essa potrebbe trovare luogo e sviluppo solo in un contesto democratico maggiormente garantito e pluralista. Lobbisti che parlano di democrazia: sconcerto o crescita ?

Maurizio Benassuti R. 1 settembre 2009


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