domenica 9 agosto 2009

Relazioni di potere

Esistono precisi indicatori che mostrano come molte aree metropolitane del nord, sistemi apparentemente saldi, stiano subendo, con poca consapevolezza e percezione da parte di tutti - anche grazie all’artefatto spostamento dell’interesse mediatico e del discorso pubblico su altri temi - una grave, duratura battuta di arresto. I fattori di crisi strutturali del Paese: crisi dei mercati e del lavoro, crisi fiscale dell’apparato pubblico, del welfare, e più ancora degrado delle tradizionali forme sociali, micro-imprenditoriali, comunitarie, civiche e familiari da qui a poco si potranno constatare con i loro effetti e con tutta evidenza anche in questi ambiti. Questo fenomeno risulterà sempre più marcato per l’incapacità cronica dei vertici delle amministrazioni e delle élites locali di interpretazione dei cambiamenti generali e di collegamento alle grandi, globalizzate, dinamiche economiche e sociali in atto. Nonostante le recenti ecicliche papaline, nemmeno più si riesce a palesare quell’atteggiamento paternalista e “previdenziale” che ha spesso contraddistinto la politica, l’imprenditoria e la finanza cattolica radicatasi in molti di questi ambiti fin dal primo dopoguerra; una concezione che quantomeno dava vita a progetti istituzionali e sociali compensativi. Queste assenze escludono quindi che si possa oggi parlare di classe dirigente, bensì solo di una élite con la vocazione al mantenimento ad oltranza di uno status e di regole di condotta sempre più isolazioniste ed autoreferenziali; un aggregato, nemmeno tanto ristretto, che continua nei fatti ad allontanare da sé la coscienza dei cambiamenti, avendo come orizzonte solo il proprio privilegiato e sempre più ristretto ambiente di vita. E’ tipico del nostro paese presentare centri di potere frammentati per interessi territoriali e settoriali, quasi mai classe dirigente, gruppi più orientati all’amplificazione del proprio privato tenore che allo sviluppo imprenditoriale ed alla responsabilità sociale, ma se questo è vero in termini generali, in questi ambiti se ne hanno esempi eclatanti. Se poi passiamo al rapporto tra economia e politica in alcuni momenti quasi paritetico e indipendente, oggi si vede che viene sempre più spesso percepito come lo spazio di espressioni ed aspirazioni nemmeno più corporative, solo strettamente personali. Risultato: un anomalo, ingiustificabile, individualismo amorale che da queste élites arriva a contagiare, come cultura della “furbizia”, anche il semplice cittadino che possieda qualche aspirazione di crescita. Una commistione improduttiva che vede politici entrare in cordate economiche attraverso partecipazioni dirette o fiduciarie, imprenditori che “acquistano” cariche elettive e così diventare tout court politici, accademici fare i lobbisti per sé stessi e per i gruppi finanziari, professionisti trasformati in gestori di cabine di regia extraistituzionali; tutti a comporre solo una élite salottiera, conservativa, non una vera consapevole classe dirigente. Malgrado tutti i tentativi di propaganda, in quelle che sono considerate le solide realtà del “ricco nord" risultano in realtà sbiaditi ed impoveriti all'estremo i fattori basici di crescita della società e dell'economia di quello che oggi più che mai dovrebbe risultare essere un sistema moderno, competitivo ed integrato e che invece non è. Nessuna mobilità sociale e nessuno spazio offerto agli aspetti meritocratici, essendo ogni cooptazione riservata a chi sappia manifestare quiescenza acritica. Prevalenza della finanza sulla manifattura. Assenza di una reale diffusa innovazione industriale. Ricerca applicata ed eccellenza formativa agli ultimi posti nelle classifiche internazionali. Interventi nel sociale privi della necessaria "europea" laicità e dinamicità e spesso lasciati , come fatto scontato, ad organismi di ambito confessionale. Una sanità baronale, orientata e concentrata verso il settore privato convenzionato. E così si potrebbe continuare ad elencare tutti i numerosi aspetti che mostrano con chiarezza, al di là di ogni concezione politica, la antistorica ed anacronistica strada intrapresa. Non resta che ricordare a questi “protagonisti” che gli scenari post-fordisti richiedono, anzi impongono, anche per loro una nuova grammatica ed un nuovo lessico persino nelle relazioni di potere; un potere ed un quadro di privilegi che senza consapevolezza, visione del cambiamento, capacità di gestione ed attivazione di nuove dinamiche può sparire da un giorno all’altro. Anche per chi possiamo immaginare che sia poco interessato alla democrazia economica e sociale sarebbe utile ricordare che la crescita, anche degli interessi più ristretti ed individuali, è possibile solo se si forma una rete pragmatica ma allargata e pluralista di interessi in grado di spingere concretamente lo sviluppo di tutte le componenti del sistema.


Maurizio Benassuti R. 8 agosto 2009