venerdì 28 agosto 2009

Tendenze disciplinari nella realtà delle relazioni istituzionali italiane

Oggi, in sede nazionale, differentemente da quanto è accaduto presso le istituzioni UE, non sembra essere “risalita” nell’agenda politica l’esigenza di assetto del fenomeno della rappresentanza di interessi; detto in modo più semplice non esiste una tangibile politica pubblica attinente tale sistema di rapporti, mentre questa, a partire dall’esigenza primaria di legalità, trasparenza, efficacia, appare sempre più essenziale, improcrastinabile, per l’evoluzione del nostro sistema politico ed economico. Le misure su cui sarebbe necessario porre l’attenzione sono i sistemi di controllo sociale, e la regolamentazione. Da una parte, per rispondere all’esigenza di controllo sociale, dovrebbero essere incrementati i luoghi materiali e virtuali e le occasioni di confronto per fornire all’opinione pubblica informazioni relative ai rapporti tra i rappresentanti dei gruppi di interesse e gli organi istituzionali (di qualunque livello). Dall’altra si fa sentire la necessità di porre norme, anche di autoregolamentazione, per garantire l’integrità etica, la legalità e l’opportunità di questa dinamica relazionale; norme condivise che possano concretamente “aiutare” la buona condotta delle persone svolgenti ruoli di decisionalità pubblica esposte a tali attività e, prima ancora, degli stessi rappresentanti di interessi. Così mentre in sede comunitaria con l’adozione di registri per le rappresentanze di interessi ed altre collaterali iniziative disciplinari (2008) si è arrivati ad un punto di sviluppo e di “decorosa” definizione del quadro dei rapporti, nel nostro paese il dibattito e soprattutto l’azione pubblica rimane sullo sfondo dell’agenda politica. Per quanto ci riguarda, nella finora inutile attesa di una presa di coscienza da parte del legislatore (e dell’esecutivo), non resterebbe priva di rilievo e positive conseguenze la determinazione di una autoregolamentazione su base volontaria sia per la parte pubblica che per coloro che, come parti private, svolgono attività di rappresentanza di interessi. In base all’approccio adottato a livello europeo, l’accento dovrebbe essere immediatamente posto sul comportamento etico dei rappresentanti delle stesse istituzioni oltreché sull’elaborazione di ulteriori norme deontologicamente vincolanti relative alla condotta dei lobbisti. Dunque anche i rappresentanti istituzionali - oltre alle relative disposizioni derivanti dai principi di ordine costituzionale ed ordinario riguardanti l’attività politico-istituzionale e l’azione amministrativa - dovrebbero essere tenuti a rispettare, anch’essi su base volontaria, ulteriori dettati volti a rafforzare la loro imparzialità ed indipendenza. Per quanto riguarda invece i soggetti privati “interessati” che entrano in relazione con gli apparati pubblici le caratteristiche principali di un codice di condotta potrebbero essere così riassunte: - agire in maniera onesta e dichiarare sempre l’interesse che essi rappresentano, - non presentare né divulgare informazioni false o fuorvianti, - non offrire alcuna forma di incentivo per ottenere risposte o ricevere un trattamento preferenziale. In entrambe i casi dovrebbero far seguito puntuali definizioni dei meccanismi di controllo e aspetti sanzionatori. Detti codici di autoregolamentazione dovrebbero riguardare non soltanto i rappresentanti pubblici e lobbisti professionisti che operano come dipendenti fissi di gruppi di interesse o per mandato di questi in apposite strutture ed agenzie, ma anche coloro che si dedicano saltuariamente ad attività di lobbismo (es.: studi legali ed esponenti di centri studi). Inoltre, poiché un sistema di questo tipo si baserebbe in prevalenza sull’autodisciplina, per renderlo compiuto ed efficace, sarebbe comunque necessario porsi sulla via di un consolidamento condiviso dei codici già esistenti (per il nostro paese vedi: http://www.ilchiostro.org/index.php?page_id=55#sel_codice ) ed introdurre un quadro comune di attuazione e di sanzioni rispettato da tutti. In riepilogo va evidenziato che le due opzioni riferentisi al controllo sociale ed alla regolamentazione, rispetto agli obiettivi di fondo, sono in realtà interdipendenti ed integrate. Il controllo esterno presuppone infatti che "a monte" siano fissati e divulgati con i mezzi più idonei dei principi generali e requisiti minimi o standard per la consultazione delle parti interessate. Il complesso di coregolamentazione o semplicemente di autoregolamentazione sarebbe infine esso stesso mirato alla trasparenza. In ogni caso l'interazione di standard operativi e trasparenza punterebbe diritta verso l'obiettivo essenziale di migliorare in modo energico e con riflessi pressoché immediati la qualità della funzione di governo e legislativa locale e nazionale nei diversi settori di intervento. mbr ©