lunedì 10 agosto 2009

Sistemi bloccati

L’esistenza di istituzioni o di regole formalmente democratiche non è sempre di per sé garanzia del mantenimento di condizioni di vita liberali e democratiche, tantomeno del progresso politico economico e sociale di una comunità. La garanzia giuridica di alcuni diritti, le c.d. libertà, le facoltà degli individui, in assenza di alcune basilari condizioni sociali e politiche, non hanno alcuna concretezza. Così pare proprio che stia accadendo in molti "municipi" e comunità italiane, più ancora in quelle che vengono elevate ad esempio e definite ricche e “moderne”. Il sistema elettorale per l’elezione diretta del sindaco, chiaramente di tipo presidenziale, in assenza di contrappesi istituzionali, controlli pubblici e sociali, una opposizione degna di questo nome, una presenza consapevole della dimensione partecipativa civica, non garantisce la democraticità del luogo, meno ancora la contemporaneità del sistema locale. Se a questo fatto si aggiunge il peso sociale di organizzazioni di ambito più o meno confessionale, dotate di mezzi economici rilevantissimi - gli unici con apparati di socializzazione e formazione politica e di organismi operanti in ogni ambito dei servizi e del no profit - tende a scomparire qualsiasi forma di pluralismo culturale e politico. Il gioco maggioranza-opposizione, pubblico-privato viene appiattito già in sede elettorale - unico momento possibile per la scelta - sia nei programmi che nella composizione delle liste dall'esigenza di rispetto di alcune trasversali ed intangibili categorie pre-politiche, di consuetudini e tradizioni culturali che hanno molto a che fare con radicate ideologie, aspetti religiosi, eredità immeritate derivanti dallo strapotere di alcuni gruppi familiari e molto poco invece con le reali condizioni evolutive di una società. Se poi le associazioni categoriali presenti, anziché dare corpo alle legittime esigenze delle imprese associate - spesso comunità di lavoro di piccolissime dimensioni - si occupano prevalentemente del successo personale e della visibilità dei loro dirigenti, magari per scalare le posizioni direttive di enti economici, articolazioni ministeriali o amministrazioni pubbliche locali, in un accordo sempre troppo stretto e troppo poco trasparente con i vertici istituzionali, non si mantengono le condizioni di mercato e cessa la dialettica dell’articolazione libera degli interessi. Se la finanza speculativa e non trasparente continua a prevalere sul lavoro e sul giusto profitto dell’intrapresa, di chi con coraggio ed indipendenza continua a sfidare le sempre peggiori congiunture, si impoverisce il tessuto economico, la creatività e la capacità manifatturiera, da sempre unico vero punto di forza delle nostre realtà produttive. Se gli ordini professionali, così come le università, diventano scatole chiuse e privilegiate in cui, a prescindere dal merito e dalle reali competenze, trovano accesso e quindi protezione economica e legale solo eredi, parenti ed amici, si perde la qualità delle prestazioni e della ricerca. Se, infine, le comunicazioni, quelle che contano, vedono un soggetto costantemente mantenuto e garantito in una posizione dominante, o, peggio, monopolistica, con una proprietà della testata concentrata negli stessi gruppi e famiglie che esprimono al contempo anche rappresentanza politica ed economica, non c’è più informazione: solo manipolazione e propaganda. Questa che oggi così si presenta non solo è una società scarsamente democratica e illiberale, ma è ancor peggio un sistema bloccato, chiuso in sé stesso, privo di sbocchi, destinato al più rapido declino.

Maurizio Benassuti R. 5 agosto 2009