sabato 8 agosto 2009

Lobbying all'italiana definizioni e reali contorni

Sembrerebbe che nell’ambito di quelle persone che in termini più o meno professionali, scientifici, o altro si occupano della dinamica della rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici si sia formato un lessico, una specie di definizione d’insieme derivante dalla consapevolezza soprattutto tecnica ed etica di questa attività e dei suoi contorni.




Una consapevolezza che se ben incanalata e con coraggio gestita, anche attraverso alcune aggregazioni di tipo associativo che si vanno formando, potrebbe in effetti portare a qualche passo in avanti verso la professionalizzazione degli attori e delle sedi.


Ma - e questo è il punto - gli aspetti definitori autodeterminati, scontano due limiti, o meglio si rapportano con difficoltà allo stato reale delle cose, che oggi non sembra essere, per una rappresentazione autenticamente contenutistica e democratica degli interessi, il più opportuno.


Il primo di questi limiti è di carattere “strutturale”; l’altro scientifico e relazionale.




Piegare un istituto anglossassone, il lobbying, volendo usarne il termine descrittivo, alla prassi ed al quadro relazionale pubblico-privato italiano è un’operazione piuttosto azzardata. Infatti risulta poco compreso e in questo contesto, per ovvie, quotidiane circostanze ed evidenze, più spesso frainteso.


Quella italiana, lo sappiamo bene, è una democrazia diminuita, ridotta ai minimi termini e non tanto e non solo per l’attuale macroscopico disequilibrio nei poteri, ma per lo storico prevalere di alcune corporazioni che da sempre letteralmente bloccano il sistema.


Definirlo un modello neo-corporativo sarebbe ancora un eufemismo.


Quando mai le cupole finanziarie, le stanche dinastie del capitalismo italiano, o i titolari delle grandi società pubbliche, o ancora, le rappresentanze sindacali o le principali istituzioni religiose hanno avuto bisogno di “rappresentare” i propri interessi e aspettative ?


Si è sempre e comunque trattato piuttosto di occupazione di posizioni pubbliche, di direttive vincolanti o, peggio, di oneri molto impropri rivolte o addossati al soggetto pubblico, piuttosto che di trasparente ed equilibrato negoziato di interessi.




Un altro non trascurabile e specifico difetto (chiamiamolo così) del nostro sistema è dato dalla pervasiva presenza in ogni rapporto economico o politico di rilievo tra interlocutore pubblico e privato (al sud come al nord) di quello che viene troppo semplicisticamente definito "il fenomeno mafioso", che ripropone uno stile prima ancora di ogni risvolto penale. Inutile citare esempi. Ci sarebbe da chiedersi in proposito quale fino ad oggi sia stato il ruolo del più tipico nazional-lobbista in alcune note vicende risalite nelle cronache giudiziarie.


Non è difficile rilevare allora come il più delle volte sia stata la stessa categoria di questi supposti mediatori di interessi nell'agire dei suoi principali esponenti ad aver prodotto i maggiori danni operativi e concettuali.




L’altro aspetto da mettere in rilevo attiene a quello che si potrebbe definire lo “statuto scientifico e professionale” dell’attività lobbistica.


C’è molta confusione, o se si preferisce stratificazione, anche in questo campo. Pubbliche relazioni, comunicazione pubblica ed istituzionale, legistica, tecniche negoziali e management, accountability, relazioni internazionali e progettazione comunitaria… e chi più ne ha ne metta. Si possono vedere i programmi dei corsi di perfezionamento presso le più note università della capitale.


Ammirevole composizione di conoscenze quella richiesta alla base della formazione e dell’azione del lobbista italiano, ma alla fine complessa identificazione del soggetto, che resta senza un tratto formativo ed esperienziale prevalente e quindi identificante.


Così, de iure condendo, molto diversi sarebbero i contenuti di una possibile disciplina (e quindi dell’identità) professionale se la si volesse considerare dal punto di vista delle relazioni pubbliche anziché da quello tecnico-giuridico; ma questo solo per fare una semplificante demarcazione.


In altre parole siamo ben lontani dalla possibilità concreta di affermazione del lobbying, così come molti ora anche nel nostro Paese lo vorrebbero interpretare e prima ancora denominare; una realtà oltretutto che vede sempre più protagoniste le meso-strutture ed i corpi burocratici decentrati e non le principali assemblee legislative, oggi, come si diceva, pressoché esautorate. Dal punto di vista tutto italiano, nonostante la moltitudine di operatori segnalata (sulla carta), ed il riassetto in divenire del sistema, nemmeno le sedi comunitarie - per il groviglio di competenze, di organi, di funzioni e di canali di trasmissione dalla dimensione continentale a quella locale - possono vantare di aver dato vita alla figura più tipica del lobbista, semmai ad una sorta di burocrate esterno, istruttore-outsorcer, prestato, per ragioni di interessi, a quelle sedi.
In più, se è vero che la parte preponderante dell’economia italiana è rappresentata da piccole e medie imprese, lavoro autonomo e professioni nonché dalle loro associazioni di categoria è certo che il fenomeno del lobbismo, così come, con spirito democratico, professionalità ed etica lo si vorrebbe (re)interpretare, da questa dimensione rimane sostanzialmente estraneo.


E su questi fenomeni economici organizzativi ed associativi e sulle loro modalità di azione, solo che si volesse uscire dall'ipocrita esaltazione, ci sarebbe da discutere molto più a lungo e ancor più criticamente.


Ciò che di negativo all’esterno e presso l’opinione pubblica in alcune circostanze si vede e si percepisce alla fine è molto più vicino alla diffusa realtà di quanto non si voglia ammettere.


La semplificazione terminologica di quei commentatori di cronaca politica (e nera) che di quando in quando sulla spinta delle indagini delle diverse procure sulle tracce di circuiti che con la democratica e trasperente rappresentanza di interessi nulla hanno a che fare, mette contemporaneamente in rilievo l'inadeguatezza descrittiva di un lessico pseudo-moderno e spesso di mera, interessata, propaganda che non contribuisce a spiegare il fenomeno per quel quello che è e per quello che invece dovrebbe essere.


Tra queste ingannevoli terminologie, anche quella che utilizza in modo troppo semplificante la parola lobbying per raccontare certe vicende; un'espressione che oggi potremmo pur introdurre nel nostro dizionario mediatico e di politica, ma per essere più coerenti con una specifica: "lobbying all’italiana".






mbr


agosto 2009